sabato 21 luglio 2007

Sempre insieme


Oggi è un giorno speciale. Perché ventotto anni fa, in una giornata caldissima, a detta della mamma, sei nata tu. E dire che hai fatto anche la capricciosa, ché non volevi proprio venir fuori dal pancione. Che travaglio! Del resto, inconsciamente, avrai pensato che "l'attesa del piacere è essa stessa piacere", certo, forse la mamma non è stata dello stesso avviso lì per lì, ma alla fine ne è valsa la pena.
Quando penso a te penso a due persone sdoppiate e molto differenti tra di loro. Una è disgraziatamente molesta, antipatica, peraltro anche bruttina. Con quegli occhialoni e l'apparecchio e il fiore in testa che sembrava progettato solo per attirare api, quando eri fuori di casa. Questa è la bambina della mia infanzia. Ti ricordi di quando ti divertivi a spaventarmi mettendoti la maschera e quella fottuta vestaglia rosa? Avevo tre anni ed eri la Signora Coniglio, personaggio macabro e tremendo col quale ti divertivi a spaventarmi. Hai voglia a gridare aiuto! e allora mi saltavi addosso e mi facevi i dispetti, mentre io piagnucolavo disperatamente. E quella volta in cui ci siamo tirati le mele nella cucina della casa vecchia? Mi hai rincorso a perdifiato. Oppure di quando hai rotto il vetro del salone mentre giocavi con il nastro blu e hai addossato tutta la colpa a me. E mamma mi rimproverava... quante me ne hai fatte passare! Giuravo a me stesso che prima o poi te l'avrei fatta pagare cara. Una volta cresciuto, ti avrei rifilato un conto salatissimo... piano piano ti ho superata in altezza(bisogna ammettere che non sei proprio una stangona teutonica...). Anche in girovita, ma questa è un'altra storia. E così, tra un capriccio e un'unghiata sferrata di soppiatto siamo cresciuti, piano piano, col tempo che serviva. Sette anni di distanza tra di noi che sembravano un'infinità, e che col trascorrere della vita si sono ridotti. Forse sono cresciuto io troppo in fretta per alcune cose, ma non è questa la sede per i rimpianti ed i rimorsi. Ed oggi è il tuo compleanno.
Quella bambina è cresciuta insieme a me, prima di me. Cominciava ad apparire la "seconda I.". Non riuscivo a capire certe cose perché ancora non riuscivo a capire me stesso. Poi le prime avvisaglie, infine le consapevolezze. Il mio primo ragazzo. E quei succhiotti immensi che avevo stampato sul collo. Una sera mi chiedesti se ero gay. Mi sentivo tremare tutto, avevo una paura incredibile di confessarlo. Mentre scoppiavo a piangere, mi stupii di sentirti dire che ero un cretino e che avrei dovuto confidartelo prima, che non avrei dovuto tenermi tutto dentro. Ché la vita è difficile e fa male al cuore; e dicesti che l'affetto tra un fratello e una sorella prescinde da chiunque io volessi amare. Quelle parole sono state una chiave. Hanno aperto una porta che credevo di dover tenere serrata a vita. Da quel giorno niente è stato più lo stesso tra di noi. Siamo diventati due libri aperti l'uno per l'altra. Le confessioni dilagavano a fiumi, cominciavamo a raccontarci le nostre storie, i nostri timori, i presagi, le sensazioni positive e negative, i nostri malesseri.
Quando sei stata male sono stato male con te. Ma da un lato ero felice che tu avessi me al tuo fianco. Perché io non ti avrei mai abbandonata, sarei stato il tuo supporto. Ti portai al parco, un giorno che non volevi mangiare, e avevo con me due merendine nella borsa. Per riscoprire insieme il gusto del dolce, noi due soli, con i cigni nel laghetto e i pini a farci ombra. Eri stata così grande con me. Una vera sorella maggiore. Ed era venuto il momento di saldare il mio debito: vederti mordere timidamente quella Nastrina mi fece illuminare gli occhi di gioia, perché sentivo che qualcosa si stava finalmente muovendo in te e cominciavi a risalire dall'abisso.
Come sono lontani quei giorni. Intanto sei diventata un fiore meraviglioso. Non posso spendere parole per descrivere la tua eccezionale metamorfosi. Sbocciata, sempre più donna. Sempre più bella, e quegli occhi azzurro mare, così algidi e caldi al tempo stesso, che affrontavano il mondo con uno spirito nuovo. Ed io orgoglioso di essere tuo fratello. Anno dopo anno, esperienze una dopo l'altra, le tue nuove amiche, la tua laurea tanto agognata di cui devi andare fiera, e se non lo farai te lo ricorderò io, in nome di tutto l'impegno e della caparbietà che vi hai profuso. Il tirocinio in farmacia, la decisione e le titubanze su una partenza a cui non mi stancherò mai di incitarti, perché voglio che tu morda il mondo, voglio che tu lo afferri e ne prenda il meglio, perché la vita è una sola e va vissuta appieno. Ora e soprattutto ora, che stiamo per partire insieme. Parigi ci aspetta, desidero fartene innamorare come io ne sono rimasto rapito. Sei pronta a preparare la valigia?
E' il tuo compleanno. Ed io non mi contento più di dirti che ti voglio bene.
Per questo non mi vergogno di dirti che ti amo.
Tanti auguri gallinella, con tutto l'affetto che posso portarti.

martedì 10 luglio 2007

Tumulto tumulato

Pioggia, un respiro di umidità, le note di una canzone peruviana inserita in un contesto chillout. Due tappi di Heineken da 33cc e i mozziconi di sigaretta che hanno tanto da raccontare. Sul letto ancora le forme dei corpi distesi alla maniera del triclinio, corpi di persone che dividono esperienze, sentimenti, legati in una specie di empatia non del tutto comprensibile.
E' il mistero della rievocazione.
Piano piano i ricordi riaffiorano nelle tue parole. La canna si lascia accompagnare dai pensieri seppelliti. Cosa ne è stato di ciò che eravamo? Quanti momenti abbiamo costipato nel dimenticatoio della memoria? Persone che vanno e che vengono, che entrano con prepotenza nella nostra vita, o di soppiatto, e ci tengono al caldo come effimere coperte che durano solo un inverno, che si dissipano sotto le mani della laboriosa, disperata come tutti, astuta come pochi, Penelope. In attesa che il viaggio finisca per approdare finalmente su lidi sicuri, dove la paura non è mai esistita, continuiamo a navigare per obliate maree, le vele gonfie di rimpianti per non aver saputo considerare un'ipotesi anziché un'altra, e ci sospingono al largo, lontano dall'agognata terra;
"Per quanto si possa amare, bisogna sempre scendere a compromessi. Sono pochi quelli che si trovano davvero. Ci vuole un culo bestiale". Vedevo i tuoi occhi riempirsi di lacrime che non riuscivano a scendere, forse perché oggi avevi già "aperto i rubinetti". Mi dispiace ferirti con le mie parole, ma te le ho dette col cuore in mano, per metterti davanti allo specchio di te stessa. Guarda più in fondo, quella non sei tu, che fine ha fatto quella meravigliosa creatura, sempre sicura di sé? Dove hai smarrito il tuo equilibrio? L'hai forse barattato col timore? Vorrei strappare via quel pianto dal tuo viso con un abbraccio caldo, fraterno, ma non basterebbe, lo sento; devi ritrovare te stessa, il mondo che ti appartiene. E mentre buttavi lo sguardo nel vuoto, lontano da qui, da queste mura piene di fotografie che contengono anche frammenti di noi, dichiaravi ad alta voce la tua incapacità di fare, il tuo essere disarmata: voler fare e aver paura delle conseguenze. Temere di non poterlo sopportare. Perché ora siamo cresciuti, e abbiamo letto il cartellino con su il prezzo del dolore.
Così giovani, eppure come sono lontani quei giorni in cui bastava così poco a farci vivere la vita. Quando bastava uno sguardo per dissetarsi dell'amore, quando bastava una confezione di ciambelle Mister Day, gelosamente custodita in un armadio che ormai non uso più; e non osavo aprirla, come se fosse stato un vaso di Pandora ingestibile per le mie ridotte capacità. Eppure rimaneva lì, intonso, me lo giravo tra le mani, pregustando il momento in cui l'avrei condivisa con qualcuno che desideravo avere al mio fianco. E poi la disillusione, e niente è rimasto di quelle ciambelle, se non il ricordo di averle trangugiate in frequenti attimi di sconforto e abbrutimento: e lo zucchero a velo sapeva di sale, la pasta dura come pietra da mandar giù per la gola. Mi strozzavo, perché cominciavo a capire che non è solo nel corpo che restiamo feriti, e allora ci sembra di morire di una morte apparente, perché continuiamo ad essere senza però essere; perché, mi domando, per amare si deve soffrire sempre a tal segno? Perché siamo così maledettamente vulnerabili? Ghiacciai ormai disciolti nel mare. Acqua passata sotto i ponti. Ricordi incartati e gentilmente spediti nell'imo di noi stessi. Però a volte nel baratro ci si finisce. Sei inciampata e sei caduta. Ora rialzati, coraggio. Vedi la mia mano? afferrala quando sentirai di non riuscire a camminare da sola, sarò la tua voce, sarò le tue gambe. Comunque vada io avrò cura di te. Lo senti questo tango? malinconico e solitario...

mercoledì 4 luglio 2007

Corrimano a perdifiato


Mah. Forse non dovrei dirlo. Potrebbe risultare poco etico. E forse vagamente scontato, se è vero che una delle maggiori caratteristiche dell'etica è proprio l'ovvietà dei suoi asserti antiumani. Però...
...dov'eravamo rimasti? Paradiso, canto trentatreesimo. Ci siamo, ho finito
"sì come rota ch'igualmente è mossa,
l'amor che move il mondo e l'altre stelle"
si tratta chiaramente di un riferimento alla teoria tomistico-aristotelica perché Dio è immobile motore dell'universo e gli esseri umani tendono a lui come fine supremo perché non v'è bene maggiore della Grazia del Signore
"Dio non esiste"
perché l'essenza dell'entità divina che si rispecchia
la negligenza del peccatore che viene scagliato nell'Inferno
ma come Catone il possedimento di alte virtù che gli conferiscono lo statuto di custode del Purgatorio allora rimprovera il povero Casella che del suo amoroso canto ben farà a tacere in nome di Nostro Signore Gesù Cristo
tutto il Paradiso è esente dalla scansione temporale il tempo l'eterno il tempo l'eterno il tempo è eterno tranne che nel Purgatorio
"Non c'è più posto per Dio quaggiù"
"E se ci fosse?"
"Osi rispondermi?"
Questa sera tirava aria di lite feroce, uno scontro degno del miglior pensiero di una battaglia che Omero abbia mai potuto concepire. Però ha finito per non scriverla. Ho finito di studiare, tutto. Tutto significa che è troppo, quando segue una virgola; quell'attesa genera una certa tensione che si può paragonare a quella che proviamo quando aspettiamo una risposta ad una domanda appena rivolta. Ho studiato tutto e mi sembra di aver studiato il niente, ché le parole cercavano di tarlarmi il cervello, a furia di forzare le sinapsi. Già le vedo le parole piazzate sui piccoli vagoni delle montagne russe del mio cerebro. Il problema è che però il giostraio, che sarei io, oggi ha scioperato con Cobas, Unicobas e Gilda.
Forte di centinaia di pagine e pagine che hanno generosamente contribuito ad arricchire l'umana convinzione che Alfieri sia una palla bestiale e che forse Leopardi, dietro la siepe del colle che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude, in realtà avesse un attacco di colite e per questo avesse rivolto il suo canto alla natura maligna la quale, forte del suo materialismo meccanicistico che tutto ingloba e tutto consuma, pare che si sia messa a rintuzzare anche quella povera anima di Ugo, però tutto sommato anche quella di Ugolino ché, poveretto, non l'ha fatto mica apposta a mangiarsi il cranio di Ruggieri, o almeno, così pareva quando la bocca sollevò dal fiero pasto, e se è vero che in realtà(ma quella storica o quella letteraria?), se è vero che in realtà i canti dei barattieri sono i più teatrali, se Beatrice è davvero l'allegoria della teologia anche se Auerbach non è molto d'accordo("Cretini che siete, le allegorie sono roba da medievali"), se è vero che ad ogni rinuncia corrisponde una contropartita considerevole, se vero è ben, o Pindemonte! allora che si continui pure, che le danze non abbiano fine, non tirate il fiato, o! quant'è bella giovinezza che si fugge tuttavia, chi vuol esser lieto sia, di diman non v'è certezza.
Non ci credete?
Provate.
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