lunedì 16 novembre 2009

Te Pertenezco (ma non sono Ambra Angiolini)

Succede che l'ebbrezza, fotografata da un ricordo molto vago ma d'indubbia indole burlesca, ti colga una sera con il sapore penetrante del gin o quello ingannevole della vodka sul treno Moskva-Petushki, o molto più semplicemente vicino a Milano Lambrate, e più precisamente su una scacchiera colonizzata da bicchierini. A grandezza naturale c'è un momento in cui - brevissimo attimo sensibile - riesci a vedere te stesso con una chiarezza inusitata, cristallina, nell'atto di digitare il numero della tua carta d'identità sul form di un volo BGY-VLC a/r - gg.22/10/09-25/10/09, incorniciato da grandi strisce gialle e blu quasi a voler sottolineare quel che stai facendo. A posteriori, sbraiterò al telefono con mio padre perché ritiene fermamente che io voli con "una compagnia che cade". Ma poco importa. Di quel momento io conserverò, d'ora in avanti, un ricordo fondamentale del mio percorso d'identità, e non solo di quella carta che, in fin dei conti, serba di me poche notizie (e fittizie, leggasi alla voce altezza, ndr).
E' passato un po' di tempo, ma è nitido il sorriso che mi si dischiuse scendendo dal velivolo. L'apertura del portellone, in precedenza, mi aveva procurato un lieve scompenso, non sapevo cosa attendermi: sapevo solo che quel giorno avrei dovuto fare gli auguri di compleanno a due delle donne più importanti della mia vita, e che una l'avrei rivista di lì a qualche fermata di metropolitana. L'attimo di smarrimento si dissolse rapidamente: la brezza che avvolgeva il mio capo imbacuccato per resistere ai cupi 4°C del mattino meneghino, il sole scintillante e il riverbero che ne riportavano gli occhiali da sole del personale di terra dell'aeroporto mi convinsero subito a sentirmi meglio che a casa. Chiedo la planta del metro, por favor bullandomi della mia pronuncia inequivocabilmente castigliana (come dissero Y.-J.-I.) e mi godo i bracci serpeggianti delle gallerie sotterranee riportati sulla mappa, individuando subito il mio obiettivo: Angel Guimera. E mi godo anche, spegnendo furtivamente il lettore musicale, la musica spagnola che risuona ad ogni parola che pronuncia la gente valenciana, in cui s'inserisce un "anvedi ahò, certo che 'sta Valencia è proprio figa" preposto a rovinare il mio bucolico momento di gratitudine all'iberica glottologia. Finalmente riemergo dalle viscere del suolo. Lo immagino come un parto immaginario della terra, che mi caga letteralmente in un posto totalmente diverso da quello da cui ero partito.
Da quel momento, e per tre giorni, ho capito tante cose di me. Forse fu la fuga, forse le ansie accumulate nelle ben più delle cinque giornate di Milano, fatte di pioggia e università, prove che chiamavano a gran voce un pronto debutto, relazioni pericolose, domande senza risposta e poi ancora pioggia, domande e un velo di tristezza permanente. Forse fu la fuga da tutto questo assieme al bisogno fisico di sentire il mio corpo disteso e i pensieri decontratti. Forse, poco dopo, è stata la paella consumata in concomitanza con un battesimo in un paesino vicino alle risaie. E subito dopo, un'ora a guardare il mare andare e venire, senza la maglietta, i piedi nudi, una sposa col suo sposo ad immortalare il momento della loro promessa. O le passeggiate per il centro storico, e quelle nel parco che era, un tempo, il letto d'un fiume ormai disseccato. Oppure le temperature quasi estive nel cuore dell'autunno, generate da chissà quale strana equazione meteorologica, e le persone piene di sole e di vita, e in maniche corte e calzoncini, a guardare la Arena de Toros col naso all'insù. Ed io lì in tutti i colori della città e in tutte le dolci curvature degli edifici, e in cima alla torre, a contemplare la carta d'identità nel mio portafogli e a sentire il mio cuore che batteva un bolero, e a ripensare alla strana casualità, a quella medesima sensazione di benessere che mi aveva già solleticato leggendo BCN, MAD, LPA nelle mie precedenti fuitine nella terra dei conigli (ma solo per etimologia, s'intenda bene il nesso!), al piacere di sentire la lingua in bocca già predisposta alla jota, quasi per sua naturale inclinazione; e poi, come non rendersi conto che non poteva essere casuale la mia predilezione per il giallo ed il rosso accostati insieme, il mio sostenere Rafael Nadal contro Roger Federer, la mia interpretazione di El Blanco?
Tutto lasciava presagire un rientro traumatico. BGY era stata la sede di una felice partenza, e ora si trasformava in un'aguzza trappola per piccioni sulla quale io avrei poggiato il sedere con fare piuttosto masochista. Io temevo che avrei sofferto per giorni la mancanza della mia bella Spagna, in barba a chi professa il verbo della saudade lusitana. Avrei sofferto l'aggressività di una Milano ossessivo-compulsiva sempre dedita ad un ritmo dell'esistenza scandita dal passaggio del tram. Mi sarei progettato il modo di far parte di quel mondo, ma solo attraverso clamorosi viaggi mentali che, nei casi più disperati, mi avrebbero condotto a farmi scambiare per argentino dal signore che mi porta solitamente la pizza a domicilio, e a dialogare in spagnolo con un tipo piuttosto ganzo conosciuto tra un Vodka-Martini-Lemon e un Negroni nella domenica notte più cool della Milano che schecca.
Ebbene, è le cose sono andate proprio come avete vi ho detto.
Ora, però, mi sono appena accorto che è lunedì sera, mi fa male l'addome, e dietro di me ci sono i Simpsons, il che significa che Studio Aperto aveva biecamente vegliato di me sino ad ora senza che io me ne accorgessi, mi sono accorto che domani ho una lezione di filologia e fuori fa freddissimo, e che sarà così anche domattina, e che, insomma, sono in Italia e non in Spagna, come credevo fino a qualche minuto fa, prima che iniziassi a scrivere quest'ultima frase.
Un po' mi viene voglia di andarmene via, un po' mi viene da piangere perché mi manca il coraggio, un po' mi dico che è ancora presto e che ci devo riflettere bene su. Intanto, ho scovato un sito che migliorerà la mia grammatica spagnola che non ho mai studiato, ma in sole trenta lezioni.
Dopo, decido.

8 Commenti:

Anonymous Anonimo ha detto...

aforisma:
"Odiavo quello che ho lasciato, e ora mi manca. Speravo in quello che avrei trovato, e ora non lo capisco."

18 novembre 2009 alle ore 00:44:00 GMT+2  
Blogger Adynaton86 ha detto...

edo: ma come!!

19 novembre 2009 alle ore 01:38:00 GMT+2  
Blogger E. ha detto...

è sempre così,
sapessimo veramente cosa vogliamo e come trovarlo, sarebbe tutto più facile, forse troppo

:)

19 novembre 2009 alle ore 23:13:00 GMT+2  
Blogger Adynaton86 ha detto...

edo: e lo vieni a dire a me? :) io eterno insoddisfatto... ma mi spiace un sacco che non ci sentiamo per niente, ero curioso di sapere come andava la tua avventura :) scrivimi una mail ogni tanto neh!

20 novembre 2009 alle ore 01:05:00 GMT+2  
Blogger Adynaton86 ha detto...

edo: e lo vieni a dire a me? :) io eterno insoddisfatto... ma mi spiace un sacco che non ci sentiamo per niente, ero curioso di sapere come andava la tua avventura :) scrivimi una mail ogni tanto neh!

20 novembre 2009 alle ore 01:05:00 GMT+2  
Anonymous Anonimo ha detto...

Io (che sono un ignorantO), ti chiedo di spiegarmi il nesso tra Spagna e conigli.

E su, coraggio... prima o poi andrai a vivere nella tanto agognata Spagna... e io pure, mi auguro!

20 novembre 2009 alle ore 15:30:00 GMT+2  
Blogger Pussyriot Beaverhausen ha detto...

I love calzoncini!

20 novembre 2009 alle ore 15:55:00 GMT+2  
Blogger Adynaton86 ha detto...

bimbosottaceto: la Spagna era anche detta Hispania, una parola dalla complessa etimologia fenicio-ebraica che poi, passando al latino con la conquista romana, ha preso il significato di "terra dei conigli" (saphan in ebraico è un animale molto simile al coniglio). E' un etimo che ho sempre adorato :D

anastasia: specialmente a quadrettoni!

20 novembre 2009 alle ore 17:20:00 GMT+2  

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