lunedì 28 gennaio 2013

Cambiare, sempre


Ho sorriso, davvero, sinceramente: rileggere me stesso di qualche anno fa ha ricreato un'atmosfera surreale e intrisa di ricordi. Alcuni meravigliosi, altri no, com'è giusto che sia, e se c'è una cosa che ho capito è che devo avere proprio una capacità di intuito e di previsione degli accadimenti che raramente sbaglia ad interpretare i segni premonitori.
Le mura intorno a me sono cambiate, si sono allargate, creando attorno a me uno spazio vitale di respiro più ampio. I miei orizzonti hanno seguito il loro procedere verso l'esterno: espandendosi, mutando sensibilmente la direzione che originariamente pensavano di seguire.
Confesso che la mia vita è in trasformazione continua, ed io non me ne sono neppure accorto: immerso nel liquido del tempo, sono tornato a galla e il panorama è cambiato. Non c'è più il mare aperto a perdita d'occhio, ma una costa visibile in lontananza, qualche scoglio cui aggrapparsi per fermarsi un istante a respirare, e a guardare com'è diventato il cielo nel frattempo. Ora lo accetto con più serenità.
In questo periodo di strambi mutamenti ho però temuto di aver smarrito quella parte di me che si emozionava di fronte a uno sguardo. Ed in effetti, in parte e per qualche tempo, è stato veramente così. Le mie corde più profonde si erano arrugginite per via di un'incuria prolungata ed in parte, lo ammetto, la colpa è stata mia che ho permesso alla volpe di insidiare la serenità delle galline dormienti. Un bel giorno ho sparato alla volpe. E tutto è cambiato - di nuovo.
Oggi, poi, accade qualcosa di inatteso. Mi accorgo che, nel pieno dell'inverno, il coma delle mie membra si è interrotto e che c'è dunque ancora qualcosa che mi fa vibrare. Una domenica di gennaio diventa una primavera dei sensi, un'emozione che sì, mi ha lasciato le labbra asciutte, eppure va bene lo stesso: posso attendere, voglio attendere e ridere di gusto e baciare le sue guance, voglio capire e vedere se anche questa volta la preveggenza è il mio dono. E tornare a sentire come quando ero più ragazzino e la sera al cinema diventava l'occasione per uno sfioramento di dita e un batticuore improvviso, frugale promessa d'amore e tempesta che ti scompiglia i capelli.
Cambiare si dovrà sempre, ma se ho imparato qualcosa è che è straordinario anche tornare ad essere.

domenica 19 giugno 2011

Quello che non c'è, ma così tanto io vorrei

Mancano quattro giorni, quattro lunghissimi, interminabili giri di boa da ventiquattro ore ciascuno. Mi sorprendo nel provare attacchi di crepacuore imprevedibili. Sì, è l'ultimo esame. Ma proprio l'ultimo, quello che fai e poi esci e ti ubriachi per dimenticare i giorni e le notti sui libri, con la paura di non passare, col terrore di "oh cazzo di sicuro mi boccerà, non so niente, non so niente". Che poi, alla fine, le cose le sapevi ma ci si sente più sicuri a pensare di non sapere. Come se l'insicurezza non generasse aspettativa di successo (e in effetti a volte può funzionare). Certo, me lo risparmierei volentieri. Ma d'altra parte non si può avere tutto. Su questo siamo d'accordo. Ma quando dal "non si può avere tutto" si passa al "non ho niente", il passo è decisamente più doloroso. Non so perché oggi pomeriggio sento il bisogno di lamentarmi. Credo che mi abbia ispirato il ventaglio di colori finalmente estivi che vedo dalla finestra: Milano, dopo giorni di pioggia, brilla di grano e splende di zaffiro. Sebbene stia passando le mie giornate su una ridicola scrivania di legno di pino, vedere quei colori miscelati nel cielo e nelle costruzioni mi spinge a credere che presto ne godrò. E questo è bene. Meno bene è che l'attesa che mi separa da quel momento la vivrò male. E non tanto per le ansie da studio, quanto piuttosto perché so che dovrò affrontare questo momento da solo. Il mio "solo" vale per il cuore, che da poco ha deciso di fare a meno di lui. Non è vero, il cuore non l'ha deciso: ha dovuto arrendersi alla ragione, all'oggettività, alle immani sofferenze che si è sentito infliggere ogni giorno di più.
Me ne sono capitate tante in questi mesi in cui non ho scritto. Purtroppo sono state tante più negative che positive. Il ricordo dell'amore per me è una ferita ancora aperta, non stilla più sangue, ma tira la pelle perché cerca di rimarginarsi faticosamente. E' come quando vuoi grattare sulla crosta, perché accidenti quanto prude, ma sai che farlo è sbagliato, perché altrimenti quella ferita non si chiuderà mai. In fondo è una di quelle cose che ogni mamma ha detto al proprio figlio: "non ti grattare, ché poi ti esce il pus e ti rimane la cicatrice". Non so perché ho scelto di non disubbidire quasi mai agli insegnamenti che ho ricevuto, ma stavolta sento che per farcela avrei bisogno di farmi legare le mani con un laccio ben stretto. Anche ora, proprio adesso, qualcosa mi ha punto proprio nel centro. E' bastata una vibrazione con un bip-bip di una nota marca di telefoni cellulari.
La verità è che credere alle parole di qualcuno che ami è la cosa più bella che ci sia. Ti infonde sicurezza, fiducia, consapevolezza di non essere mai solo.
La verità è che io ci credevo ma ora, a quelle parole, non so, non ci credo più, anche se vorrei poterlo fare.
La verità è che la notte di mercoledì vorrei tanto poter contare su un abbraccio rassicurante, quando mi sveglierò nel cuore del buio: ma sarò solo. In fin dei conti, sono stato io a sottrarmi a quella presa dolce e velenosa, agognata ma mai, probabilmente, veramente ricevuta quando ce n'era bisogno.
Così le mie pianure si trasformano, a poco a poco, in un deserto privo di vegetazione, arido e improduttivo, che divora le poche oasi nella sua vorace calura tropicale.
Intanto ripenso continuamente a quelle mani grandi e ai piedoni oversize, provetti calpestatori di sentimenti, ma se solo avessero imparato ad accarezzare per tempo... accidenti, quanto rimpianto.

martedì 16 novembre 2010

Questioni d'una notte di mezzo autunno

Mentre trascorrono i giorni, in un bizzarro barcamenarsi tra le lotte quotidiane della vita e una pioggia che invita alla resa, mentre il destino si diverte prendendosi gioco di me da qualche mese a questa parte, e mentre il Presidente del Consiglio si diverte prendendosi gioco di tutti gli Italiani che non l'hanno mai votato, mi sembra di fissare un quadro confuso, contemporaneo, di cui non capisco nulla. La verità, però, è che l'apparenza della visione d'insieme non rende giustizia a quel quadro. I suoi tratti, netti, precisi, delimitano immagini in realtà molto più chiare di quanto non crediate. Anch'io ho fatto fatica, per un po'.
Il quadro, dicevo, parla invece chiaramente. Ci credereste, se vi dicessi che era uno specchio? Proprio quando fare spallucce sembrava l'ultimo atto di una tragicommedia delle iconografie, ho riconosciuto nell'immagine riflessa il mio io vagamente sgangherato, accavallato: quasi distorto! Ma non c'è di che stupirsi se, a volte, ci capita di non riconoscerci in noi stessi. La figura restituita davanti a uno sguardo che si spinge verso l'oggettività è la cura migliore per le malattie dell'anima. Perché ci fa vedere come siamo, fino ai minimi dettagli, senza menzogne a fin di bene o complimenti d'occasione. La verità, nuda e cruda, parcellizzata in miriadi di frammenti che fanno di noi ciò che siamo, appare distesa davanti a noi come un orizzonte a cielo terso.
Così, come dinanzi ad un enigmatico indovinello, ho iniziato a fare ordine nelle mie stanze. A cominciare dal cuore, un baule di segreti, sensazioni mai veramente dimenticate, piccoli rimpianti e indigeribili rimorsi; alla fiera del passato ho ritrovato pagine scritte, parole corsive su inchiostro mezzo sbiadito. Inattuali. Buttare. Bisognava fare posto per il presente, come quando al cambio di stagione sembra così ingiusto e inaccettabile gettar via il maglione preferito, vecchia gloria del passato, protagonista pluripremiato, ma ormai logoro, star che s'avvia su un malinconico Sunset Boulevard. Ho vestiti più freschi e camicie più linde, e calde e morbide stoffe con cui sabotare l'inverno: per ora mi scaldano abbastanza. Anche se, ogni tanto, ripenso al maglione. Ma poi mi dico: quel ch'è fatto è fatto. E mi provo indosso un pullover. Blu. Ah, per la cronaca: anche lui ha buttato via il maglione.
Restava ora da sistemare la parte più difficile. L'antro dei misteri. Il regno della mia personalissima entropia. La reggia delle seghe, il maniero delle mattanze esistenziali - il cervello. Il mio stramaledetto cervello. Quel disgraziato di un cervello, mi ripeto percotendomi le carni a mo' di flagellante, che pur potrebbe scegliere una meravigliosamente menefreghista aponia e limitarsi a soddisfare funzioni primarie. Se il disordine mentale fosse indice della follia, io metterei ben in dubbio anche i più ispirati sostenitori di Basaglia. Poiché il problema è radicalmente insolvibile anche per me che ne sono il diretto responsabile, con tristaniana rassegnazione accetto il voler d'Iddio, bevo il filtro, faccio un ruttino, e mi rimetto alla volontà del fato. Dall'accanimento che ho profuso nel tentativo di risolvere tutto e subito ho ricavato un sonoro buco nell'acqua, per cui, fidandomi dell'arcana forza di opposti e contrari e di tarocchi e di saggezza, ho scelto di fermarmi in un punto, e aspettare. Ogni cosa sceglierà il suo posto mentre io guarderò lo spettacolo, sdraiato sul fianco e sgranocchiando salatini. Tempo al tempo, sostiene la nonna, ed anche che "l'ultima a scortica' è la coda". Ciò che conta veramente è cogliere l'occasione, quando passa, perché passa: fidatevi di me. Ed è per questo che da qualche giorno sono alla finestra, e qualcosa sta passando proprio davanti a me. Per ora la cosa pare funzionare. Pare, dico. Però... sì, pare che vada davvero alla grande. Certo, ci vorranno fatica e pazienza, probabilmente anche pizzichi di angoscia, tormento e sconforto: ma qual è il vero prezzo per raggiungere la felicità? Nell'impossibilità di stabilirne il valore, decido di andar controcorrente, e di fare un grosso investimento a fondo perduto... in piena crisi.
Nel frattempo, sebben con qualche occhiaia di troppo, mi appunterò una camelia all'occhiello, per ricordarmi di un giorno tutto nuovo per me... e chissà che non passi una signora a farmi l'occhiolino.

lunedì 14 giugno 2010

Due donne intorno al cor mi son venute

L'illuminazione, come al solito, è tenue. In sottofondo, le volute di fumo; tre sono le sedie, su una, disposta tra altre due, ci sono io, accoccolato con la caviglia sotto il ginocchio, e il gomito poggiato sul braccio dello schienale. Le altre due sedie sono occupate l'una da una flessuosa creatura bionda dall'accento straniero, l'altra da una donna che pare una sirena, occhi azzurri e liscia la fronte. Entrambe fumano, e discorriamo insieme dei mali d'amore. Ci versiamo del vino per rendere meno amara la conversazione: scappa qualche risata, ma poi si torna ad esser seri. La creatura flessuosa manda giù un sorso, dice "solo un po' d'amore, io non ho bisogno di niente": lei è quella emancipata ed indipendente, quella che crede fermamente nei suoi ideali, nei suoi obbiettivi. L'ha detto però in un modo così viscerale da infiammare anche me. Ed ho riconosciuto che, in effetti, "un po' d'amore" serve proprio a tutti. La sirena, invece, è più triste e dimessa nell'ascolto: ha toccato il cielo ed è precipitata nel vuoto nel giro di poche ore. Lei, che si chiede come mai gli uomini di oggi "non sono più gli stessi di prima", come mai siano vili e si tirino indietro davanti alla difficoltà. E di quanto invece lei fosse pronta ad assumersi anche lo scherno dei colleghi. Io ascolto, e per un momento mi sono chiesto anche io cosa pensavo degli uomini. Di quelli che gravitano intorno alla mia vita.
Ci sto ancora pensando.

venerdì 21 maggio 2010

yawn

Un lieve dondolio che va insieme a una melodia, e poi dodici, tredici, quattordici, i giorni d'un maggio che passa lieve, lieve, nemmeno lo senti. Una sigaretta in più non sarà un dramma: mi accoccolo su una sedia, a piedi nudi, incrociati sopra il tavolo. Suona Al Stewart, "The Year Of The Cat". Il caffè caldo è accanto a me, e il sole bacia il mio petto. Quant'è dolce il tepore dei raggi primaverili! D'improvviso sono tutto un abbraccio di luce.
Sembra un risveglio: l'odore dei grani tostati, però al pomeriggio. Si riaprono i libri, per la seconda volta. Biscotti, e marmellata, e il venticello del quarto piano che accarezza pagine e dita. Improvvisamente tutto sembra migliore.
Torna la voglia di darsi al mondo, di riprendere fili dispersi, ricucire qualche strappo, strappare qualche foglio miscellaneo, è tornata quella voglia di uscire all'aperto, pestare l'erba con i gomiti e tener la testa gettata all'indietro, offrire la bocca, ricevere un bacio e volerne altri cento, esser qualcuno, esser qualcosa, apprendere e lamentarsi, lamentarsi e apprendere.
Un ultimo giro di Do, ancora un ultimo giro, fammi ballare così, voce country, al collo l'armonica, spalla-chitarra, musica viva, ritmo divino.

venerdì 9 aprile 2010

Assenza, Presenza, Mancanza


Ho sempre creduto di vederci chiaro /
anche quando alla parola scandita /
si sostituiva, silente, lo sguardo /
Riflette la mia attuale confusione /
il groviglio di lenzuola ammassate /
ancorché freddo /
Non di tempo, non di attesa abbisogna /
il mio livore d'amor cronico /

giovedì 18 marzo 2010

Sudden Epiphanies. Chapter One: In The Kitchen

E chi avrebbe detto mai che l'ammiraglio Nelson non c'entrava niente con l'Invincible Armada di Filippo II di Spagna?
Oh, in fondo, ci sono solo tre secoli di... eh.
Va bene, non so un accidenti di storia moderna.
Eppure ho paura che qui si tratti di un... Affare Francese.
... e queste sigarette?

To be continued...
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