venerdì 29 dicembre 2006

Buona La Prima


Quando ci ripenso, non mi verrebbe mai da realizzare che, in realtà, è trascorso soltanto un mese. Solo uno, da quell'etilica e bizzarra notte in cui ho mandato a quel paese tutti i miei paletti psicologici ed ho lasciato che il mio istinto prendesse il sopravvento. Col senno di poi, posso dire serenamente di aver fatto la cosa giusta e ringrazio gli americani per aver inventato il Long Island, vero ed unico deterrente delle mie post-adolescenziali timidezze.
Per essere davvero onesto, c'è da dire però che il mese preciso è scoccato nella notte tra il 25 e il 26, ma cause di forza maggiore non mi hanno permesso di essere a Milano(per maggiori informazioni, leggere attentamente il post precedente...). Quindi stasera, a sua insaputa, festeggeremo e gli farò trascorrere la notte più infuocata della sua vita... potrebbe suonare come una minaccia, ma non è il caso di vederla in questi termini, no, niente affatto: la chiamerei piuttosto... "maliziosa persuasione"... suona meglio, non trovate?
A questo scopo, ho comperato una bottiglia di spumante friulano, e il caso ha voluto che una promoter al supermercato, tanto simpatica quanto ignorante circa il prodotto che stava tentando di vendere (ripetendo in modo alquanto molesto l'aggettivo "particolare" per delineare al meglio ciascuna caratteristica del suddetto spumante), incrociasse la mia strada. E, come direbbero con saggezza i nostri avi, ho dato "un colpo al cerchio ed uno alla botte": io ho il mio spumante in fresco, in attesa di essere stappato, e la simpatica promoter si è tolta, grazie a me, ben un litro di lavoro, guadagnandosi la pagnotta.
Tralasciando questo piacevole evento e le mie condizioni fisiche piuttosto precarie(cari amici, il virus influenzale ha colpito anche me), mi sento davvero felice, avverto la pienezza delle mie emozioni, riesco ad apprezzare al massimo ogni piccolezza della giornata. Per esempio, nonostante la febbriciattola e il raffreddore che non mi concede tregua, questa mattina ho piantato un chiodo nella parete per appendere un quadretto, e la cosa mi ha portato tantissima soddisfazione: non tanto per il chiodo in sé, visto che ormai in fatto di chiodi mi ritengo piuttosto esperto(lascio a ciascuno libera interpretazione di quest'ultima frase...!), quanto per l'idea di aver fatto qualcosa di creativo, di aver dato sfogo a quest'implacabile potenza che regna sovrana dentro di me e che urla a squarciagola, e mi incita a seguire le mie passioni con forza, a mordere la vita e a gustarne ogni singolo boccone. Ed è curioso che io ci stia riuscendo senza nemmeno faticare. Ho sempre pensato di essere un tipo perennemente insoddisfatto e alla continua ricerca di appagamento, ma forse qualcosa sta girando in modo diverso. Passano i giorni, e mi ritrovo tra le mani quest'energia mai posseduta, mi sembra così tanta da non riuscire a contenerla, e scoppia, e ad ogni esplosione io sono sempre più gaudente. E ciò che ho mi piace, e non desidero nulla di più. Guardo davanti a me e vedo l'orizzonte sgombro da ogni nube, incedo lentamente, un passo per volta, senza forzare l'andatura: è una sensazione che non provavo da tempo, non so quanto durerà ancora, ma finché dura... carpo diem. Sperando che il buon vecchio Orazio non si rivolti nella tomba per averlo scomodato questa sera.

lunedì 25 dicembre 2006

Parenti Serpenti


Il giorno di Natale non è mai stato il mio forte. A dire il vero, non lo è mai stato nemmeno quello della vigilia. Per essere ancora più precisi, non lo è più da quando ho preso coscienza, diventando grande, del fatto che la mia famiglia, come tutte, non è un rifugio dorato, ovattato, un'entità di protezione eterna ed immutabile. Quando si cresce, si capiscono molte più cose: litigi improvvisi, sedie stranamente vuote che una volta erano piene, tavole imbandite di battute pungenti e farcite con l'intenzione di fare male, insoddisfazioni personali, opinioni divergenti. Ciò che da piccolo rappresentava per me un enorme punto di domanda, è ora di immediata comprensione, e al tempo stesso produce in me una strana sensazione di disadattamento all'ambito famigliare.
Questo Natale, come i più recenti trascorsi con i miei parenti, è stato a tratti imbarazzante. Non perché io sia timido o introverso, anzi: il fatto è che tutti fanno di tutto per metterti nella condizione di non sapere cosa rispondere. E se questo può essere, sebbene al limite delle mie possibilità, comprensibile nei confronti dei membri più "anziani", non lo trovo minimamente accettabile da parte di quelli più giovani. E allora può starmi bene che mia nonna mi domandi della mia "sposa", ma non che lo facciano i miei cugini. In parte è evidente che la colpa sia anche mia, con loro non sono mai stato limpido circa le mie inclinazioni sessuali. Ma non l'ho mai fatto e non lo faccio perché mancano di discrezione, e se capita di toccare argomenti vagamente "tabù" dimostrano tutta la loro chiusura mentale, il loro provincialismo, la loro incapacità di sapersi distaccare da una massa che vede il mondo per stereotipi e convenzioni unanimemente accettati.
Ma non è tutto. Odio il fatto che mi si prenda in giro per il mio modo di vestire. Se a Natale voglio mettermi dei pantaloni in cui possono entrare quattro delle mie gambe, nessuno deve azzardarsi a dire che sembro uno straccione. E se la camicia con il cravattino mi piace tenerla fuori dai suddetti pantaloni, non voglio che mi si dica che "non è consono". Tanto più se a dire queste cose è quel celenterato di mio cugino S., la cui unica occupazione è ingravidare la moglie, anno, dopo anno, dopo anno, mettendo al mondo creature come fossero biscotti che escano da un forno. E detesto sua moglie P., la donna sottomessa per eccellenza, che sottolinea con vomitevole enfasi e stomacante trionfo che quello sia "suo marito", e lo chiama "amore". Disgustoso.
Infine, mi sono stancato di sentirmi dire che sono troppo magro. Che non mangio abbastanza, che così magro sembro un malato terminale, che ho i polsi piccoli e le gambe scheletriche. Ci manca solo che mi diano dell'anoressico e allora saremo veramente a posto.
A volte, a Natale, mi sento scoppiare la testa, sono una pentola serrata da un coperchio che solo la mia razionalità e il mio equilibrio interiore impediscono che esploda. Perché, se si verificasse la deflagrazione, non farei altro che sputare merda su di loro, su tutti loro. Su quanto mi facciano pena le loro insulse premure, le loro moine, la loro falsa benevolenza. E' inutile voler dimostrare, tutto in un giorno, un interesse che non ha ragione di esistere, e mi domando quanto a lungo resisterà la mia pazienza.
Fortunatamente ricorderò questo Natale per la persona che c'è al mio fianco, seppure da poco, e il cui pensiero mi ha permesso di ignorare la marea di stronzate che ha invaso la casa di mia zia E. quest'oggi. Fortunatamente c'erano i miei genitori, che sono per me l'unico appiglio in questo oceano di merda. E fortunatamente c'è mia sorella I., con la quale riesco a condividere l'astio verso questo nugolo di serpi che cerco di tenere lontano da me il più possibile.
E se qualcuno ha da ribattere sulla bellezza del Natale in famiglia, o sostiene che sia folkloristico e caloroso un pranzo con quasi venti persone a cui sei legato dal sangue... beh, almeno per rispetto verso di me, che taccia. Almeno oggi, che è Natale.

giovedì 21 dicembre 2006

L'Arte Di Sentirsi Colpevoli


Se una sera di dicembre qualcuno suonasse alla tua porta.
Se tu credessi di trovarti di fronte una persona, e invece si trattasse di qualcun'altro.
Qualcuno che torna da molto lontano per il Natale. Che appartiene al tuo recente passato, ma che per te non è se non un ricordo da conservare, da rievocare col sorriso e con qualche aneddoto curioso. Qualcuno a cui hai fatto battere forte il cuore per davvero, e che ti guarda con le lacrime agli occhi.
Se questa persona fosse lì, davanti a te, che sei sbigottito, colto alla sprovvista, in preda al panico di non saper più provare lo stesso sentimento di qualche tempo addietro.
Se questa persona ti dicesse che ti ama, e che ti desidera, e che non fa che pensarti. Ma tu no.
Se ti trovassi, in una sequela interminabile di situazioni, a...
...dire di no, e stritolargli il cuore in una morsa gelida, come un soffio di tramontana sul fuoco ancora ardente. Dire che le cose sono cambiate, che non c'è più tempo per amarsi, che c'è già un altro a scaldare le tue coperte la notte, a carezzare la tua pelle quest'inverno. Non avere il coraggio di guardare quello sguardo supplichevole, perdutamente innamorato, e subito dopo amaramente disperso. Sentire la sua mano che molla la presa, vedere un alito di speranza abbandonare quel corpo così grande, che si ripiega su se stesso, una canna che s'inchina al vento e non si rialza più.
...sentirti dire che sei cambiato, che non sei più lo stesso, che non t'importa più nulla di niente. E vederlo sparire, mentre tu stai ancora cercando inutili giustificazioni per non dire che l'amore, no, non era quello che c'era tra di noi, forse un grande affetto, ma non basterebbe. Udire la porta che sbatte, il rimbombo nel condominio, lo sguardo perso nel vuoto, non sapere cosa fare. Provare un'angosciosa preoccupazione per ciò che avverrà da quel momento in avanti, non osare immaginare se mai, un giorno, vi rivedrete.
...guardarsi intorno spaesato. Provare un senso di ingiustificata colpevolezza. Avere paura di essere stato troppo sincero, di non aver voluto creare illusorie speranze.
...allora ti sentirai un uomo di merda. Anche se l'unica, ingiusta colpa fosse quella di aver cercato di guardare davanti a te, per non soffrire, per ricominciare a riprendere le redini di te stesso, a vent'anni, o poco più.

martedì 19 dicembre 2006

"... E il mio cuore sta per franare..."

"[...] E' stato il giorno in cui ho capito che c'era tutta un'intera vita dietro ogni cosa, e una incredibile forza benevola che voleva sapessi che non c'era motivo di avere paura, mai. [...] Ho bisogno di ricordare. A volte c'è così tanta bellezza nel mondo, che non riesco ad accettarla, e il mio cuore sta per franare..."

(tratto dal film "American Beauty")


Volevo riscoprire questo film con l'interesse che forse mi era mancato la prima volta che lo vidi. E invece, è stato lui a sorprendermi, svegliando in me questo pensiero latente, segregato, come una grotta che stilla nel tempo e nel silenzio le sue stalagmiti, indomita e inarrestabile. La bellezza del mondo, un'immagine apparentemente concreta, eppure così astratta, difficile da pensare, difficile da cogliere. Chissà perché, ma ho sempre guardato questa terra su cui viviamo come un luogo inospitale e barbaro, dove l'istinto della sopravvivenza sopprime la curiosità, la gioia di guardare e di ricordare. La sola idea del ricordo porta con sé un'aura negativa, di qualcosa che è trascorso e che ormai non ci appartiene più, spazzata via dal vento come una manciata di foglie cadute d'autunno. E quant'è difficile scorgere bellezza in ciò che ci circonda: forse la fretta, forse l'indifferenza.

Ma bisogna credere alla bellezza del mondo, ai suoi moti eterni ed impercettibili, imperturbabili; ai suoi colori, alle tonalità d'azzurro dell'aurora e alle tinte rossastre del sole vespertino, al verde iridescente del mare aperto; ai suoi profumi inebrianti e talvolta indistinti, all'incenso che brucia, all'aroma di un giglio appena sbocciato o di una rosa vermiglia che si schiude d'improvviso; bisogna credere al battito leggero d'ali di farfalla, al fremito incostante di una fiamma, all'emozione che pulsa nel sangue di fronte alla vista d'una stella cadente.

Se immagino tutto questo, se mi proietto in questa visione, mi sento protetto, cullato dolcemente in un sogno di cui s'è appena levato il sipario. Placide note echeggeranno nell'aria, non ci saranno nubi nell'animo mio, non la preoccupazione, ma uno slancio di leggero fervore verso tutto questo, verso questo luogo tumultuoso che tacito ruota su se stesso, e vaga nell'universo, senza un motivo plausibile. Tutto mentre noi esseri umani rimaniamo inerti, distratti dal nulla, dimentichi dei ricordi d'infanzia, quando era più facile baciare la terra che calpestiamo, giorno dopo giorno, con crescente disappunto. Potremmo ancora lasciarci sorprendere dalla pioggia battente e dalla neve discreta e felpata. Se soltanto fosse possibile voltarsi e sorridere alla bellezza di ciò che lasciamo dietro le nostre spalle.

venerdì 15 dicembre 2006

Il Sapore della Rivincita

Qualcuno diceva che "la vendetta è un piatto che va servito freddo".
Io aggiungerei che una piccola rivincita sia preferibile alla vendetta(che brutta parola, poi, la trovo anche cacofonica). Ed adoperando una perifrasi inglese direi best served freezed. Congelata.
Stasera ho avuto modo di chiacchierare con uno dei pazzi che hanno oltrepassato i confini che portano ai limiti della mia persona. Facendo del mio meglio per spiattellargli in faccia il fatto che sono felice, che sto con una persona stupenda(e sottolineando più volte il fatto che non sia cerebrolesa come lui). Ma non è tutto. Mi sono anche preso la licenza poetica di descriverlo come una persona "neutra, un foglio bianco con poche scritte negli angoli", che recano a caratteri ben visibili le frasi "Lunatico e vagamente incoerente" ed un sottile, ma tagliente "Ha la faccia spesso annoiata".
Mica male, considerando i bicchieri di vino bevuti a multipli di tre questa sera, con l'amico A. e la coinquilina P., davanti ad una bella tagliata coi funghi porcini.
Tutto ciò sarebbe stato perfetto, se poi la mia coscienza non si fosse posta il problema di cercare le macchie causate da questo gesto di cattiveria gratuita, volontaria e preterintenzionale. Insomma, ho finito per farmi da solo il fantomatico "processo alle intenzioni". E ne è venuto fuori che ho fatto lo stronzo. Con finezza, eh, ma stronzo. E' troppo facile scagliare i fulmini che, di tanto in tanto, la dea della giustizia in terra ci concede di lanciare contro coloro che ci hanno, in qualche misura, feriti.
Tuttavia, osservando il tutto con un'ottica decisamente più scaltra e menefreghista(ossia quella che poi ha prevalso in me), ho realizzato che il sapore della rivincita è immensamente più dolce, se gustato dalla vetta del monte, quando tutto va bene e si può affermare con sicurezza di essere felici, per quanto effimera la felicità possa essere. E si è certi che, per chi guarda dal basso e subisce le saette di Dike, mai fu più vero il detto: "Il potere logora chi non ce l'ha".
Mi scuso coi moralisti che predicano il Santo Perdono a tutti i costi: questa è la segreteria telefonica di Adynaton86, sono spiacente ma non sono in casa, lasciate pure un messaggio, ma state certi che, almeno per oggi, non l'ascolterò. E forse nemmeno domani.

giovedì 14 dicembre 2006

La Prima Volta

E' successo.
Ancora non riesco a realizzare. L'eco delle tue parole risuona ancora vivida nella mia testa, come quando mi hai sussurrato, con dolcezza, nel mio orecchio intorpidito dalla tua lingua:
"Ti va di fare l'amore?"
Non me l'aspettavo. Avevo previsto tempi diversi, distanze maggiori, e a me andava bene così. Ma devo convincermi che, nella nostra storia, nulla potrà seguire mai alcuna previsione. Così com'era imprevedibile e, tecnicamente, assurdo, che cominciasse.
Non ho esitato a risponderti di sì.
E quello che ho provato, non si esprime se non con immagini. E allora, potrei raccontare delle frange di colore che nascono tra l'alba e l'aurora, o di un abbraccio dolce ed impetuoso, e delle onde del mare, placide e continue, ma sempre forti, diverse, vivaci. Ma neanche ciò basterebbe, perché non sarei soddisfatto a sufficienza, mi sembrerebbe che la cosa manchi di particolari, di verità, di sensualità.
Ti ho riaccompagnato alla macchina, e sono risalito in casa col sorriso sulle labbra. Ero troppo mosso dentro, l'agitazione e l'immensa felicità di questa notte si mescolavano in me. Ho dovuto farmi una canna per rilassarmi.
Poi ho scoperto il tuo orologio, appoggiato sulla mia libreria bianca, vicino ai miei libri preferiti. L'hai tolto mentre ti spogliavo con gli occhi e con le mani. L'ho preso tra le mani e, d'istinto, ho portato il quadrante sotto il mio lobo, e ho iniziato ad ascoltare: tic-tac, tic-tac, irregolare, scandito da due lancette separate. Mi è sembrato di sentire il battito aritmico del tuo cuore, mentre i tuoi aneliti baciavano il mio collo, adesso livido e a tratti violaceo, mentre facevamo l'amore per la prima volta, questa notte.
L'ho messo accanto a me. Il tic-tac, tic-tac, mi è dolce, è rasserenante. Mi rassicura e placa la mia inquietudine...
...d'amore?

martedì 12 dicembre 2006

"6Speciale"

Messaggio ricevuto il 11/12/2006
19:25:34

"Tatino..buh!salito ora sul treno..mi sn fermato x una ricerca in lab..che balle..nn vedo l'ora de magnà.tu,tutto ok a teatro?a dopo...

[E fin qui, niente di strano; sono frasi abbastanza comuni, le tipiche locuzioni che uno scrive in un sms in un momento di assoluta nullafacenza... Unico neo: non capisco perché mi chiami "tato"...una volta me lo spiegherai!]

...6speciale ciccio :-* bacio"

E qui, mi sono sciolto come neve ad agosto.
Sarò patetico, lo so, ma queste sono le piccole cose che mi fanno sentire bene. Due parole, corte corte, semplici, una copula ed un aggettivo tutti per me che provengono esattamente dalla persona che desidero le pronunci.
Molte persone non hanno mai capito che in amore ci vuole poco a farmi fesso. Bastano due moine e sono bello e fritto, da un lato e dall'altro, perfettamente croccante.
Non è per essere pieno di me, lo so già di essere speciale(laddove per speciale s'intenda "piacevolmente fuori dal comune".. una specie di fuoriserie particolarmente fiammante e dal prezzo abbordabile, in sostanza!)... Però detto da te ha un non so che dolce retrogusto. E' come quando bevo un bicchiere di buon vino rosso, e dopo resto inebriato dall'aroma di qualche frutto, nettarino e zuccheroso.
Te la sei cavata con così poco oggi, eppure mi sento appagato. "Posso essere felice con poco" [cfr. Carmen..].
In fondo, anche le rose sono felici quando si schiudono alla fresca rugiada del mattino.

lunedì 11 dicembre 2006

Lord Of The Oceans



Signore degli Oceani, qual è la tua strategia di autodistruzione, oggi?

Signore degli Oceani, spero che non ti spiaccia, ma sto progettando la mia grande Fuga...



Dovresti essere lieto di vedermi come granelli di sabbia tra gli altri



Della tua meravigliosa torre di forza io ero la Regina del Nulla
Lavata dall'ultima onda, stanca, senza aiuto,
Ma finalmente salva



E mi congratulo con te per aver perduto la fiducia in me



Ma ti dispiace tremendamente, ed io non capisco perché tu



Abbia cominciato ad aver paura perfino di te stesso...



Signore degli Oceani, fa' pure nuove leggi per tentare di riscattare la tua autostima



Signore degli Oceani, spero che non ti dispiaccia se ti offro il mio ultimo saluto.



[Libera traduzione da "Lord of The Oceans", Carmen Consoli]
La Musica è una forza ambiguamente concreta ed astratta. Ci sono delle volte che mi lascio rapire da lei, mi faccio piccolo piccolo al suo cospetto, lascio che entri ed esca dalle mie vene come più le piace. Ho sempre pensato di essere un musicista mancato, ed è forse per questo che mi sono rivolto alla Parola, come in una sorta di "contentino". Quando la Parola si unisce alla Musica, diventa magia allo stato puro. Ed io mi sento perso.
Carmen Consoli è "colei che sa tessere le parole in una trama finissima e preziosa"(Paola Maugeri). Concordo appieno: le sue melodie risvegliano in me un'ancestrale voglia di autointrospezione, i suoi versi rispecchiano ciò che scalcia dentro la mia anima. Probabilmente questa è la ragione per cui la venero come un feticcio.
Questa canzone fa parte di un CD che ho appena composto per G., una mia carissima amica: tra di noi c'è un legame strambo, un'intesa tacita e fortissima allo stesso tempo. Ci capiamo con un solo sguardo. Ci piacciono l'ironia, il sarcasmo, le risate a bocca spalancata. Ci piace discorrere di cose serie e futili nell'arco di una sola conversazione, amiamo spaziare. Abbiamo molti gusti in comune. Avrei tanto voluto ficcarla nella valigia insieme all'altra grande amica che ho a casa, S., e portarle entrambe a Milano con me; ma temo che al check-in avrebbero fatto troppe storie...

giovedì 7 dicembre 2006

Storie Di Amori Passati


Tre canne in una sera sono troppe. Specialmente se due di queste sono eccessivamente cariche e fumate in totale solitudine. Per i non praticanti, i cosiddetti "personali". Probabilmente questa è la ragione per la quale, questa notte, ho subìto un processo di regressio ad uterum e, come sono solito fare, quando mi sento con il cervello che torna indietro nel tempo, non posso fare a meno di guardarmi un cartone animato della Walt Disney. Di quelli vecchi, con i veri disegni animati; maledetta Pixar. Ebbene, stasera è stato il turno di "Aladdin": una dolce storia d'amore, di quell'amore che va oltre le barriere sociali e che supera, seppur con difficoltà, qualsiasi ostacolo si frapponga tra gli amanti. Tante volte ho sorriso pensando a quanto sia infantile e seducente il pensiero di un amore che nasce al primo sguardo e che è destinato a vivere per sempre. E al tempo stesso, subito dopo la visione, non ho potuto fare a meno di pensare alle persone che sono passate nel firmamento della mia ancor breve vita. A 20 anni è strano accostare il classico "bilancio" di quello che è accaduto fino a questo momento... ma l'ho sempre detto, di essere un tipo particolarmente rétro.
Così ho avuto un pensiero per tutti. Anche per coloro che avevo addirittura dimenticato. Per esempio A., che in verità è stato il primo "milanese": avevo 17 anni, in un caldo maggio, parlammo tanto all'ombra degli alberi di un parchetto. Altre parole al telefono, poi presi coscienza dell'assurdità della cosa. Finì così.
Poi c'è stato C., quasi 2 anni insieme, il mio primo vero ragazzo. Spenderò poche righe per te, nonostante la nostra sia stata la storia più duratura che abbia mai avuto. Sei stato capace di trasformare tutti i nostri bei ricordi in un mare di rancore profondo che serbo nei tuoi confronti ancora oggi, ad oltre un anno di distanza. Ho strappato le tue foto, se penso al tuo volto mi viene il voltastomaco. Ancora mi domando il perché di tutto quello che mi hai fatto.
Con M. è stato tutto così rapido ed indolore, almeno per me. Un incontro, poi un altro, un bacio, un weekend insieme, abbiamo fatto del sesso piuttosto sbiadito. E ti ho detto che tra di noi non ci poteva essere nulla di comune, figuriamoci un'amicizia. Da allora, solo qualche improperio, poi non t'ho più sentito.
Poi V. Sei l'unico per il quale provo ancora un affetto enorme, forse di poco inferiore all'amore che ti ho portato sinceramente per tutti i sei mesi che siamo stati insieme. Tengo stretto, intatto, nel mio cuore il ricordo della tua dolcezza e del tuo impeto di sensualità. Sei stato l'unico capace di farmi innamorare nuovamente, proprio quando credevo che l'amore non esistesse più per me. Ti voglio bene.
In un freddo febbraio, il primo trascorso a Milano, ho conosciuto A. Sei stato maledettamente capace di sedurmi e di farti corteggiare. Ed altrettanto bravo nello scaricarmi, facendomi recitare una scenata isterica che ora rievoco con un vistoso sorriso! Non ce l'ho più con te, tutto sommato non sei stato il peggiore. Considerando poi il fatto che eri vergine, direi anche che te la sei cavata egregiamente in ogni campo.
D.: ora non sei qui ma so con esattezza quando tornerai. Ci siamo presi e lasciati in modo strano; la tua dolcezza nei miei riguardi ha superato qualsiasi limite immaginabile. Forse addirittura è stata troppa; inzuppato com'ero nella melassa delle tue carezze, ho pensato per la prima volta di volere uno stronzo che mi maltrattasse. In una storia, non puoi dirmi sempre "facciamo tutto quello che vuoi, a me basta stare con te". Finisco per annoiarmi. Anche a letto. So che vorrai rivedermi, me lo sento; ma non so più con che faccia ti guarderò.
Logicamente ci voleva un altro A. Tu secondo me hai bisogno di farti vedere da uno bravo. Ancora non ho capito cosa vuoi dalla vita: cerchi l'amore della tua vita, ma ti comporti da stronzo con chiunque. L'hai fatto con me, l'hai anche ammesso: ma alla fine della fiera, sono quasi contento di pensarti con tristezza compassionevole. Ed è questo ciò che conta.
Ora c'è L. nella mia vita. Per questa ragione, lascerò vuoto lo spazio che pure vorrei dedicarti, con l'ovvia speranza di non doverlo mai riempire.
Com'era naturale immaginare, soltanto adesso ricordo anche i volti di altre persone: N., S., G.
Qualche parola debbo spenderla per P., e sono delle scuse perché t'ho trattato davvero male. Ti ho praticamente usato a mio piacimento, sei stato il mio rifugio quando avevo bisogno di te, la pietruzza fastidiosa nella scarpa quando mi chiedevi di vederci, ed io a tua insaputa frequentavo qualcun'altro. E alla fine hai gettato merda sulla mia persona, parlando male di me agli altri. Beh, hai fatto bene. Me la sono meritata.
Menzione speciale per G., il secondo milanese della mia vita. Mi sei davvero simpatico, ancora ci vediamo ogni tanto. Dovremmo rimanere buoni amici, però smettila di farmi avances. E soprattutto: se vieni a letto con me, perlomeno evita di dire che ti senti in colpa per il tuo fidanzato. E' quantomai sconveniente.
Come sconveniente è forse tutto quello che ho scritto stasera. Chi lo leggerà, potrebbe avere due reazioni. La prima reazione sarebbe pensare che sono uno che, dopo aver fumato un po' troppo, incomincia a dare i numeri e diventa inguaribilmente nostalgico, seppur con compiacimento di ciò, senza contare che sono anche uno tremendamente romantico e sentimentalista. A costoro, io rispondo: sì, avete ragione.
A coloro che, dopo aver letto questo disdicevole elenco di conquiste, per qualche strana ragione dovessero pensare che io sia un gran pezzo di mignotta, rispondo: pensate a quante lettere dell'alfabeto ancora mi mancano!

mercoledì 6 dicembre 2006

Una Spina Nel Fianco

Eppure, mentre sei felice, mentre tutto sembra finalmente girare nel modo giusto, e il tuo mondo da grigio è appena diventato policromatico e sorridente, qualcosa di ombroso piomba nella tua giornata, un fosco pensiero, un'idea perversamente realistica, come perverso è questo luogo ostile e spinoso, che è la Terra. Questo, in poche righe, quello che mi è accaduto stasera.
Mentre passeggiavo tranquillamente in Galleria a Milano, in attesa del mio amico M. con il quale sarei di lì a poco andato a vedere "Il Labirinto del Fauno"(a proposito, andate a vederlo..!), mi sono imbattuto nella vista magnificente di un colossale albero di Natale, tutto addobbato, proprio al centro della Galleria stessa. Circondato dalle più note boutiques e dai caffé più antichi ed esclusivi della città, completamente inondato da lucine dorate, l'albero non recava palline su di sé, ma al loro posto vi era una miriade di piccoli gingilli di cristallo, dalle innumerevoli forme, sfavillanti mentre riflettevano le luci circostanti. E così, abbagliato da questa visione suggestiva e forse un po' troppo natalizia per il periodo, mi sono avvicinato, e l'ho contemplato per almeno un minuto.
Poi qualcosa si è smosso dentro di me. Mentre l'osservavo attentamente, scrutando tra i rami aghifogli e stagliati in ogni direzione, la luce dentro di me si stava spegnendo. Non ho visto più gli addobbi, le luci intermittenti, la pianta rigogliosa. Al contrario, si è risvegliata una sequela di immagini delle più disparate disgrazie di questo mondo. Come a volersi far sentire, a urlare, per liberarsi dalla più ingiuriosa omertà, ho visto la Fame e la Sete. Ho visto la Solitudine, la Povertà, l'Aridità. Ho visto la Morte di coloro che stavano morendo in quel momento, in ogni secondo, uno per cristallo. Come se per ciascuna vita che se ne andava, uno di quei gingilli implodesse su se stesso, andando in mille frantumi al suolo, silenzioso come sabbia al vento.
Che importanza ha quell'albero per chi sta soffrendo adesso?
Forse molti di loro non immaginano neanche cosa sia, un albero di Natale. Quello che per tutti noi, da Bambini, era il simbolo della festa e della gaiezza, dei regali da scartare la mattina del Venticinque, degli addobbi di zucchero e cioccolato da mangiare nel giorno dell'Epifania.
E oggi, che mio malgrado continuo a dover passare insopportabili vacanze natalizie all'insegna di pantagrueliche abbuffate, ho sentito una fitta al petto, terribilmente lancinante. Ho pensato ai panettoni di cui i milanesi si dicono tanto orgogliosi, e al pandoro, al torrone, alle tovaglie rosse con i centrotavola in coordinato, i bicchieri, le posate e il servizio da pranzo migliore tenuto in serbo per l'occasione, ho pensato ai tovaglioli con sopra disegnate le foglie di pungitopo e le bacche rosse, a Babbo Natale e alla Finlandia, alla carta da regalo, ai nastri argentati, all'Angelo Custode, Maria, Giuseppe e Gesù Bambino. E ho provato un profondo senso di schifo. Di voltastomaco. Di nauseante sovrabbondanza, emetico surplus. Mentre qualcuno continua insistentemente a porsi il burroso quesito, se scegliere il dolce con l'uvetta, oppure no.

lunedì 4 dicembre 2006

Sbadigliare Pallido e Assorto

Continuo a sbadigliare imperterrito, ancora mezzo insonnolito per le scarse ore di sonno concessemi questa notte. Un turbinio di vino rosso e bianco e foglie di marijuana, pietanze succulente, una torta istantanea, pochi amici e lunghe, interminabili, estenuanti risate: questo il sunto della serata di ieri, finché non siamo rimasti soli, io e Te, dapprima abbracciati sul divano del tuo salotto, poi avvinghiati, stretti in un abbraccio sopra e sotto le coperte del tuo letto a una piazza e mezzo.
E' stato tutto così strano, e non te l'ho nascosto; strano ritrovarci lì da soli, in casa tua, nella tua stanza, io che guardo i tuoi mobili, gli oggetti che ti appartengono. Comincio ad entrare nel tuo mondo con passo felpato, per scoprire le tue abitudini, la tua quotidianità. Ho osservato con occhio chirurgico qualsiasi particolare del posto in cui vivi, le mura della casa, la tua stanza tenuta impeccabilmente, il bagno perfettamente in ordine, così in ordine che non riuscivo a trovare il dentifricio: io, abituato invece al caos della mia casa di studente, alle coperte sottosopra e all'entropia che si scatena sul pavimento della mia camera. Ti ho guardato fare colazione, mentre bevi pian piano il caffé bollente dalla tazzina, il succo di frutta tropicale, ti ho osservato mentre mangiavi la tua crostatina con meticolosa attenzione, per non far cadere le briciole sul tavolo della cucina. Ti ho visto sfrecciare per il corridoio con solo l'asciugamano attorno alla vita e i capelli ancora fradici dalla doccia appena fatta. E poi, vestito di tutto punto, fumare una sigaretta in attesa del treno, sotto la pensilina della piccola stazione ferroviaria.
Tutto mi è parso così incredibilmente bello. Tutto talmente speciale. Ed io che fino alla scorsa settimana non ero che una briciola delle tue cento conoscenze, e così tu per me, sì, se mi avessero chiesto di te avrei detto: mah, un amico, ci si vede ogni tanto. Eppure, anche se non sono trascorse neppure due ore, mi sale sempre più la voglia di scrutare i tuoi occhi di acquamarina, come stanotte, mentre accarezzavo il tuo corpo caldo ed alitavo sul tuo collo, e con i miei piedi scaldavo le tue gambe infreddolite dal rigido inverno che si appresta a venire.
Tutto in una notte, tutto così improvvisamente, tutta questa voglia che ho ancora di Te.

domenica 3 dicembre 2006

Sono Felice

Mentre cerco di tirare fuori i miei muscoli dal torpore notturno, mentre sento i fumi dell'alcool che ancora mi stordiscono, continuo a ripensare a ieri sera e penso di essere felice. Strano, mi dico! Non credo di aver mai toccato il fondo dell'infelicità, né dell'insoddisfazione, ma sono state rare le volte in cui ho detto senza riserve: "Sono Felice". La felicità è un concetto, e già solo per questo è difficile da delineare; e poi è così relativa, ciò che può dare gioia a qualcuno, può arrecare profonda tristezza a qualcun'altro. Non esiste l'idea universale di felicità. Tuttavia è molto più semplice trovare la causa scatenante di questa mia sensazione. Ed è sufficiente, per me, parlare di un pomeriggio trascorso assieme a vedere una mostra di Boccioni, passeggiare per il centro subito dopo e sorriderci mentre divoriamo un panzerotto; e poi di una serata trascorsa con la mia inimitabile amica F., che mi contagia di buonumore, così raggiante, meravigliosa, insostituibile per me. Ed ancora, la notte passata a ballare, Tu, io, gli amici, quel tuo ex così fastidioso ed invadente al punto giusto che ti si incollava dietro le spalle. Ma chi se ne importa, era una così dolce vendetta vedere lui che strisciava come un verme dietro di te mentre tu mi guardavi e mi sorridevi, preso, rapito. Una vittoria, e baciarti proprio davanti ai suoi occhi carichi di astio verso di me, evidente, lampante, ma che ignoravo con superiorità. E infine, il povero G. che ha bevuto troppo e troppo male, vederti guidare sui miei consigli campati in aria per trovare la strada più breve di tutte. Un bacio, un altro ancora, un abbraccio, una stretta di mano a dita intrecciate. Entrare nel letto da solo con gli occhi pesanti eppure ancora radiosi, addormentarmi con le tue parole scritte strette strette nello schermo del mio cellulare. E risvegliarmi stamattina, ancora rincoglionito e rintronato dalla notte precedente, e capire che tutto questo è vero e reale, tangibile, e dire: "Sono Felice".

venerdì 1 dicembre 2006

Tornare Ragazzino

Una sera trascorsa insieme. Io, te e due birre e la pienezza dell'isolamento, pure scrutati da occhi indiscreti tutt'attorno. Ed i miei sorrisi per coprire l'imbarazzo che mi procurano quei tuoi occhioni azzurri e disarmanti, belli come un mattino di primavera. Ridiamo, mi fai ridere ed è un complimento, la tua bellezza sfolgora nel tuo sorriso. E il tuo sguardo s'illumina, il tuo viso s'accende di una luce magnetica che mi lascia folgorato.
Poi ancora io e te nella tua auto, a guardarci e a scambiarci baci e baci, mille, poi cento, e mille ancora, vorrei che durasse fino a domattina ma il tempo stringe. E così ci scrutiamo ancora, e fissare i tuoi occhi mi fa tornare indietro di qualche anno, quando bastava una carezza a farmi emozionare, quando un bacio mi trasmetteva un brivido sensazionale. Significherà che finalmente ti ho trovato? Sei tu quello che cercavo? Quello che aspettavo?

Ho voglia di credere di sì, mi piace ascoltare nella testa il suono del tuo nome pronunciato a voce alta, mi piace restare ad occhi aperti ed immaginare le tue labbra che sfiorano le mie, mi piace sognare di te, anche se non voglio dirtelo perché ho paura di spaventarti. Allora rimango in silenzio, limitandomi a dirti che sei bellissimo e che mi piaci tanto, e mi costringo a saziarmi di te scorrendo con la mente le immagini di queste ore, immaginando le prossime, e quelle dopo ancora...
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