mercoledì 31 gennaio 2007

Nonostante tutto

Se solo riuscissimo a liberarcene.
Maledette categorie, infelici incasellamenti. Prigioni che l'umanità si è creata da sé, senza alcuna imposizione o necessità. Cullandosi nella possibilità del dominio assoluto e finendo per rimanere schiacciata dalle sue stesse idee. Regolarità, scansione, percezione, individuazione.
Avrebbero mai immaginato gli uomini che, un giorno, il Tempo e lo Spazio li avrebbero sottomessi al loro volere?
Gli uomini, queste bestie che siamo.
Gli altri animali non si curano del Tempo che passa, né del volgere delle stagioni, o del loro rapporto con lo Spazio: essi vivono in conformità con la Natura, e la Natura è conforme a loro, in perfetta e costante reciprocità. Non vi è tentativo di ribellione degli uni verso l'altra. Non c'è conflitto, non c'è cruccio, non esiste inganno. Idilliaca fusione di spirito e materia, di linee e di forme.
E l'uomo?
Egli si manifesta in tutta la sua possenza nel tentativo di corrompere le stesse categorie che ha fondato fin dai suoi albori. Egli cerca di combattere la corsa furiosa ed incessante degli orologi, inventati per poter controllare il Tempo, ignaro del fatto che il Tempo stesso, manifestandosi con un nome, con un'idea, sovverte i ruoli e diviene padrone dell'uomo. Mai ci sarà un martello che possa distruggere il tormentoso ticchettìo delle lancette, le campane continueranno a scandire la giornata, gridando dalle loro torri d'avorio un instancabile "ora et labora". Poiché è ormai radicata in noi la coscienza che siamo governati dal Tempo, e che il Tempo tutto sgretola.
L'uomo ha conosciuto le distanze, le vicinanze, e ha chiamato Spazio ciò che lo separava da qualcosa. Una cosa qualsiasi: un luogo, un oggetto del desiderio, un sentimento. E delineando lo Spazio, ha fatto in modo che questi diventasse la ragione unica e sufficiente per impedire a se stesso di poter giungere in ogni luogo con semplicità, con i suoi passi. Ma il passo dello Spazio sembra essere sempre più grande delle nostre capacità; e il perverso destino comporta un'insaziabile desiderio di guadagnare sempre più terreno e di sfidare le nostre possibilità. Così, quando lo Spazio si distrae, perché noi lo distraiamo con la caparbietà che ci caratterizza in quanto umani, riusciamo a colmare il distacco da ciò che desideriamo raggiungere: e, non contenti di quanto abbiamo ottenuto, vogliamo osare, e azzardare un passo ulteriore verso tutto quello che non ci è dato di raggiungere. Perché, se fosse diversamente, l'avremmo a portata delle nostre mani e dei nostri piedi.
Sarebbe stato più semplice se non ci fossimo mai posti il problema del Tempo e dello Spazio. Oh, sì, molto più semplice. Non ci sarebbe stato bisogno di formulare il concetto di Velocità. Non avremmo mai ritenuto necessario andare sopra la Luna o volare incontro alle stelle più remote.
Non sarebbe stato importante sapere che il Sole scandisce le giornate in mattina, pomeriggio, sera, notte. Perché per noi non avrebbero avuto alcun significato.
C'è qualcosa di titanico che ci spinge alla volontà di guerreggiare contro il Tempo e lo Spazio. Una specie di desiderio più forte dell'ovvia prospettiva di distruzione: giacché qualsiasi cosa faremo, non resterà di noi che un cumulo di ceneri e un pugno di ricordi, forse tramandati ai posteri, o forse lasciati cadere nell'oblio. La Storia del Mondo ci insignisce come i più grandi collezionisti di sconfitte dell'Universo, gli uomini, poveri sciocchi che tentano di ribaltare le convenzioni che essi stessi hanno posto in essere. Eppure, restiamo in vita per non soggiacere al volere dell'immenso fiume di un ineluttabile destino.
Coraggiosa, eroica, solerte. Inconcludente, perdente, disarmata e disarmante, eppure sognatrice Umanità.

venerdì 26 gennaio 2007

Cronaca e favola d'un misero destino

Grida il cielo, s'agita forte il mare
è gran dolore nell'aria compunta
Stella Sole non si vuole affacciare.

Parlan tutti della figlia defunta
di Re Freddo e di Regina Oscurità
che di pianto le nuvole trapunta.

Non han colpa, ad ascoltar verità
poiché malvagio è stato il Garbino
e brutto scherzo giocò alle Maestà.

Si narra che l'infido malandrino
tramasse di nascosto il suo progetto
attendendo il cocchio del Mattino;
dopo ch'ebbe mutato 'l suo aspetto
in foggia di raffica e forte vento,
entrò impetuoso e senza sospetto.

Vendetta desiava per lo stento
subìto per sua natura africana;
chiamò a sè da prigione d'argento

la fedele compagna Tramontana

per rapire l'ancor infante erede

e soddisfar la sete sua malsana.

Si consuma il ratto: ma non provvede

il fellone alla piccola in ostaggio,

e quella su una nuvola si siede.


Da cielo a terra è breve il suo passaggio;
poggiando il piedino su uno sbuffo
crolla in basso, scrutando il paesaggio,


cadendo repentina in grande tuffo
dall'etereo, celeste piedistallo
pensa Garbino: "Ormai non l'acciuffo".


Sua fattezza di nobile cristallo
colpita da gran fulmine va in pezzi
come fragile pioggia di corallo.

Quella cascata di diamanti grezzi
cerca il Re, afflitto, di riportare
ad antiche sembianze coi suoi mezzi:
neppur la gloria può rigenerare.
Non c'è scelta, altra possibilità
che alle nubi la piccola affidare.


Così finisce l'atroce crudeltà
e gli umani battezzarono "Neve"
la piccolina delle Loro Maestà.


(Composta guardando i primi fiocchi di neve di questo inverno, Milano, notte del 26 gennaio)

lunedì 22 gennaio 2007

E se guardo in avanti...?

Che periodo convulso.
E quello successivo sarà di ancor più difficile interpretazione.
Si stanno intrecciando tanti sentieri, e ognuno conduce in una direzione diversa.
La via sentimentale sembra quella più limpida, spianata, pianeggiante. Non vedo ostacoli, ogni dettaglio mi appare nitido e piacevole alla vista. Quella professionale è piuttosto fosca, ma è comunque ancora troppo presto per dare un giudizio: nessuno può dire cosa ci sia oltre una foresta intricata e irta di insidie. Potrebbe esserci un'oasi lussureggiante o una terra arida e arsa da un calore incessante. La strada degli studi è invece un grande viale costellato di banchi di nebbia, oltre i quali c'è sempre un numero che può suscitare un'immensa soddisfazione, oppure un'insopportabile, frustrante sensazione di incapacità.
L'intreccio è piuttosto contorto e di complicata fattura, un inequivocabile labirinto sovrapposto ad altri labirinti. Inutile rivolgersi a qualcuno per chiedere quale sia il cammino giusto da imboccare per raggiungere l'uscita. E, in fondo, la vita stessa si distende, nel suo lento ed incessante passaggio, lungo una serie di indicazioni frequentemente contraddittorie: si può intraprendere un percorso senza escluderne un altro? Ed è possibile che la risoluzione di un groviglio coincida con quella di un altro? A nulla servono briciole di pane, né sassolini rilucenti sotto la luna o gomitoli di lana, perché una volta svoltato l'angolo non si può più tornare indietro: la scelta è unica ed irripetibile, e in quanto tale non ci lascia possibilità di ripensamento.
Eppure, nonostante il dispiegarsi di tante perplessità che agiscono in contemporanea, sto riscoprendo in me stesso un insospettabile senso di organizzazione e una smaniosa voglia di fare e concludere, nel migliore dei modi, ciascuno dei sentieri che ho scelto, o che il destino mi ha riservato senza alcuna possibilità di appello. Si sa, il fato è imprevedibile e talvolta scorretto con noialtri, piccole pedine, vittime illustri della casualità.
Non mi lamento, non mi compiango. Fingo di soffrire profondamente le pressioni cui sono sottoposto, forse per un innato senso di aggregazione ed omologazione alla condizione generale degli altri. Invece mi sento tranquillo e spensierato. Vedo l'obiettivo e gli vado incontro sfrontato, con la testa alta, il petto in fuori e il culo in dentro, con una faccia di bronzo degna del miglior arrampicatore di specchi. A passo di marcia, solennemente accompagnato da un'autostima costruita col tempo come una corazza intorno a me. Ciò che conta ora è che so di aver fatto quello che avevo voglia di fare. Saprò rimproverarmi se fallirò in qualcuno dei miei obiettivi preconfezionati. Saprò premiarmi se sarò in grado di aggirare gli ostacoli e di superare le difficoltà.
E' tempo di un piccolo bilancio. Cosa ne ho tirato fuori?
Guardandomi indietro, posso dire di aver agito bene.
Fermandomi adesso, posso dire che il momento è propizio per agire.
E se guardo avanti? Ma sì, mi concedo pure il lusso di dire che tutto andrà secondo i miei piani!

giovedì 18 gennaio 2007

Compagna

Mi piace la notte.

Mi avvolge, mi scalda, mi seduce col suo sguardo furtivo dalle mie finestre.


E io la lascio entrare nella mia stanza, sempre, quasi con riguardo. L'attendo tutto il giorno e mi compiaccio della sua discrezione nell'arrivare, senza che io possa accorgermi che lei è già lì, e mi sorride, solidale, fedele compagna, facendo capolino da sopra i palazzi.


La notte mi porta un alito di vita, di sopravvivenza, mi dà respiro e silenziosa quiete. E' bella perché si lascia scrutare dentro. E' come scavare dentro un vecchio baule: quanti oggetti dimenticati, quanti ricordi lasciati nell'oblio. Con lei è lo stesso: la si può osservare con la stessa abnegazione d'un critico d'arte, o con lo spirito d'avventura di un pirata, alla caccia di qualcosa di prezioso.


E quanta magia c'è, nella notte. Quanta magia che non vogliamo vedere, perché siamo troppo distratti, perché abbiamo altro da fare. Perché dobbiamo dormire, e l'indomani bisogna lavorare o studiare. E allora non possiamo scoprire che anche la luna genera ombra vera, nitida, ancor più ammirevole di quella creata dal sole. Né possiamo ascoltare il fruscio delle foglie secche che rotolano sull'asfalto, subito dopo lo sfrecciare delle auto. E non ascolteremo i miagolii con cui il gatto corteggia la sua compagna, né scalare i tetti e sederci sulle tegole ad osservare le stelle, immerse lontane nel cielo d'inverno.


Come vivere senza? Come si può rinunciare a tutto questo? Tutto questo ispira dedizione, devozione, mistero, impulso. Passione. Amore. Il buio scende su di me, su di noi, su chiunque, e lambisce il cuore di soppiatto. Nell'oscurità cerchiamo a tentoni, nell'attesa che lo sguardo si adegui alla tenebra, vaghiamo insonni tra le lenzuola alla ricerca di calore umano, di un corpo incandescente su cui tracciare i cinque sensi. Per sentire la forza e l'abbandono, il caldo abbraccio, la tiepida carezza di una mano desiderata.


Veglio, con il solo lume dei lampioni lì fuori, mentre cercano di insinuarsi tra le serrande.
Aspetto impaziente il bacio della buonanotte che non può arrivare. Dovrò immaginarlo. E sentirlo più forte che mai, perché stanotte, non riesco a dormire: c'è troppo che scoppia in mezzo al mio cuore.

martedì 16 gennaio 2007

Innamoramento

Onda sopra onda, sopra onda spezzata,

increspata di candido torpore
dentro il mare di vetro smerigliato,
odore di glicine e vaniglia,
perenni fulgide camelie,
è cuore che batte nel petto
è amore che chiama i miei sensi
è sapore di fragole e lamponi
è la distesa della volta celeste

tra miliardi di lumi vibranti

mentre ogni collera è placata

dal ronzio di un sangue
veloce, carminio, indiavolato,
che divora ogni parte di me.

giovedì 11 gennaio 2007

Tassello Mancante

Eppure manca qualcosa.
La mia perenne ricerca della tessera mancante non mi ha risparmiato nemmeno questa volta, ancora non mi concede di godere appieno e con costanza di tutto quello che ho. Ricapitolando gli innumerevoli frammenti che ultimamente hanno costellato la mia vita, creando un'armonia che da qualche parte avevo pur smarrito, si sono composti insieme come in un'immenso puzzle. Ma il risultato finale è stranamente incompleto. Un ridicolo tassello s'è disperso, l'ho cercato nelle mie tasche, ma invano. Poi mi sono reso conto di averlo perduto per strada tanto tempo fa. Ormai sono passati quasi due anni. Due volte la Terra ha dovuto girare intorno al Sole affinché io me ne accorgessi.
Ponendo le mie sensazioni sui piatti della mia bilancia immaginaria, quella che stabilisce col suo ago la pendenza verso la soddisfazione o la frustrazione, ho constatato che sì, in effetti il peso è nettamente spostato dal lato positivo; ma "nettamente" non è "completamente". Così la mia maniacale e torturante, spasmodica, eterna fissa di voler controllare sempre che ogni cosa sia al posto giusto non ha potuto impedirmi di pensare a qualcuno che, a quest'ora, dev'essere molto, molto lontano da me. A Lisbona, immagino, per essere più precisi. Non che me l'abbia detto, ma sono sempre stato un bravo investigatore, discreto al punto giusto.
Ciò che mi rode dentro come un tarlo affamato dentro un vecchio mobile non è altro che una domanda, un quesito semplice da pronunciare ma apparentemente insolubile, a meno di un improbabile dialogo a due (il che, di questi tempi, non credo mi sia concesso, e forse non lo voglio nemmeno io, in realtà). Perché?
La mia vita è sempre stata piena di "perché". Ricordo che, fin da piccolo, non ho fatto che assillare mia madre, chiedendole il motivo di ogni cosa: dal perché il rosso sia un colore caldo, o perché "casa" si scriva così. La mia curiosità verso il mondo e verso la gente mi accompagna dalla nascita, credo. E quando gli altri non sapevano rispondermi, ho sempre fatto tutto ciò che era in mio potere per scoprirlo autonomamente, e devo ammettere di essere stato bravo in questo, visto che ho sempre trovato le risposte con relativa facilità.
Tuttavia, se c'è qualcosa che non sono mai riuscito a capire, allora quello è l'odio ingiustificato e praticato per il solo gusto di vederne l'efferato risultato. Per la prima volta in vita mia, diverso tempo fa, ho realizzato di essere odiato da qualcuno e ne sono rimasto sconvolto. Perché chi mi odiava era una persona con cui avevo condiviso tutto di me: i miei sentimenti, la mia anima, il mio corpo, le mie passioni, la mia abnegazione. Ho subìto inspiegabili ondate di cattiverie, come uno scoglio in mezzo al mare in tempesta; il quale, senza nemmeno avere il tempo di domandarsi perché le acque ce l'avessero tanto con lui, si ritrovava sommerso dai flutti e dai gorghi delle ostili mareggiate.
Perché, dunque? Cosa mai ho fatto per meritare questo? Come può l'amore trasformarsi nell'astio più incontrollato? Ammetto in sincerità di aver commesso tanti sbagli, ma ho maturato il "taglio" in seguito a troppi eventi che mi stavano condizionando, la colpa non era solo mia. In cuor mio so che è così, e sono certo che lo sa anche lui. Eppure la soluzione non mi è mai parsa così lontana come oggi.
Ho meditato lungamente sul da farsi: cercare un contatto? Oppure sarebbe meglio, considerando lo stato attuale delle cose, mangiare la foglia e tacere con questo ronzio per la testa? Il dubbio mi attanaglia come una morsa feroce. Vorrei sapere ciò che non so, ma forse ho paura di saperlo, e magari non voglio nemmeno saperlo da lui ma da altri che gli siano vicino, per non interferire e per non ricevere interferenze io stesso.
Intanto me ne sto qui a gongolare per la mia vita nuova, per le mie passioni che crescono e per questo amore che coltivo al mio fianco, giorno per giorno. Tutto ciò basterebbe ad accontentarmi. Ma desidero chiarezza, limpidezza, sincerità. Ho tanta voglia di togliere quel condizionale, ma sarebbe come togliersi un dente alla cieca, senza essere sicuro che sia davvero malato... E in quel caso, farebbe davvero un gran male.

lunedì 8 gennaio 2007

De Profundiis

L'Aspettativa è il peggior fardello che l'uomo deve portare con sè sin dalla nascita. Per essere ancora più precisi (e scaltri), se ne deve fare carico anche da prima, fin da quando non ha che le dimensioni di un unghia ed un cervello grande quanto un granello di polvere.
La Mamma ed il Papà, felici e spensierati per il lieto evento, cominceranno a stilare l'elenco dei nomi, prima ancora di conoscere il sesso del nascituro. Sarà un maschio o una femmina? Marcello, Francesca, Alessandra, Paolo, Sabrina, Federico, Patrizia, Andrea, in un delirante turbinio di nominativi aleatori e trasognati, mentre la povera creatura cerca di farsi spazio tra le ossa dello stretto bacino della donna che lo porta in grembo.
E' ancora un feto, eppure tutti si aspettano grandi cose da quell'esserino spaurito che ancora non ha cognizione nemmeno di se stesso. Farà il calciatore. No, meglio ingegnere aerospaziale. E se fosse un grande letterato? Ma perché non manager di successo? Però anche l'attore di cinema. O il cuoco, ma certo! Ma giacché ci siamo, stiliamo pure il menù del pranzo di nozze, ché tanto non guasta a nessuno. Tutta questa agitazione, spalmata ossessivamente nell'arco dei nove mesi di gravidanza, comincia a puzzare alla creaturina, la quale, con cipiglio dubbioso, inizia a scalciare in segno di protesta, ma la sua lamentela è interpretata da tutti come un felice segnale di vita: è chiaro, non vede l'ora di uscire! Macché, vorrebbe invece rispondere da lì dentro: io ho già capito tutto, e là fuori non ci vengo proprio!
Purtroppo, però, il momento di venire alla luce arriva per tutti. E così, alla prima boccata d'aria, quello si rende conto di essere arrivato laddove non voleva andare a nessun costo, e che altro può fare se non scoppiare in un pianto disperato? E anche in questo caso, tutti diranno: oh, piange! E' sano! Sano come un pesce, sarà felice! Mentre quello si guarderà intorno in preda al panico più totale, rendendosi conto che, una volta usciti dal già poco rassicurante pancione materno, non si può più rientrare.
Passano gli anni. Si aspettano che il bambino sia recettivo e che capisca tutte quelle facce da idioti che cercano di divertirlo. Badate bene, le risate di ritorno sono solo un modo come un altro di fare "buon viso a cattivo gioco". Si aspettano che il poveretto mangi quelle pappe disgustose e color vomito. Che giochi con le palline colorate, nonostante il reparto cristalleria sia inevitabilmente molto più interessante persino a prima vista.
Il tempo della scuola. Deve avere voti buoni, anzi, possibilmente ottimi sulla pagella. E se all'inizio il rendimento scolastico conta relativamente poco, più si va avanti con gli anni, più cominciano a pesare le valutazioni. E allora, giù tutti a studiare, perché sarebbe da incoscienti non aprire i libri e non andare in un istituto dove la maggior parte degli insegnanti dimostra un'incompetenza primordiale! E poi studiare serve al futuro.
Già, il futuro, ma il futuro di chi? Ma se hanno già deciso tutto loro!
E quando finalmente sembra tutto finito, quando ogni cosa sembra tornare al posto giusto, quando l'ormai ex-bambino crede che, con la fase di ribellione adolescenziale, le Aspettative dei genitori siano ormai state messe a tacere, arriva la seconda, grande fregatura della vita: l'Ormone, e di lì a poco il passo per l'amore è breve. Così, un bel giorno di primavera, una persona qualunque ci sembrerà la più straordinaria di tutte; e col coraggio di un leone, dimentico di tutto ciò di cui si è già dovuto far carico sino ad allora, sarà pronto a sobbarcarsi persino le Aspettative di un/una perfetto/a sconosciuto/a: promettimi che sarà amore eterno, promettimi di non tradirmi, che non avrai nessuno all'infuori di me, che andremo insieme al cinema la settimana prossima, che sarai sempre dolce e gentile e passionale e tutto il resto.
Ma non finisce qui. Perché poi ci sarà un lavoro, e con esso un superiore che si aspetterà che svolga le sue mansioni in modo ineccepibile. Forse avrà dei figli, e questi si aspetteranno giustamente di essere amati e di avere una congrua paghetta settimanale per farsi i cazzi loro e per mandarlo a quel paese tutte le volte che vogliono. Tanto sono figli, e il cuore di Mamma e Papà è tanto grande.
Ma che vita è mai questa?
Che razza di senso ha vivere, se dobbiamo continuamente pensare a ciò che gli altri si aspettano da noi? Se ad ogni azione che ci rende felici, mettiamo le basi per l'altrui disperazione? Se per dare a qualcuno, togliamo a qualcun'altro? Che senso ha dire le cose come stanno, se poi coloro cui ci rivolgiamo continuano a costruire su di noi le loro aspettative, stabili e durature come castelli di carte nella tramontana?
Non ha senso una vita in cui bisogna preoccuparsi esclusivamente di trovare delle giustificazioni per noi stessi, per le nostre scelte, persino per i nostri sentimenti (e quelli, vi assicuro, non li possiamo proprio controllare).
Non c'è logica in questo mondo perverso, perché tutti si aspettano qualcosa da noi, come se fosse lo scotto da pagare per essere nati, e nessuno è mai disposto ad accontentarsi di quello che siamo e di quanto siamo disposti a dare. Tutti esigono di più, ma poi cosa rimane di noi, se non un mucchio di parole pronunciate per discolparci di qualsiasi azione, anche incolpevole?
Oggi è l'ultima volta, lo giuro e lo ribadisco. E' l'ultima volta che giustifico le mie scelte. Ogni volta mi faccio in quattro per far capire agli altri le mie intenzioni e le relative decisioni, ma sono troppe le persone che si ostinano a volermi vedere come qualcosa che non sono; poi finiscono per rimanerci male, a volte soffrono addirittura, e mi domandano perché le cose non siano andate come speravano loro. Ora basta. Da oggi me ne lavo le mani. Chi vuol capire, che capisca. A buon intenditor, poche parole.
Anzi, nessuna.

venerdì 5 gennaio 2007

La Vigilia del Rientro

Domani ritorno a Milano.
Credo che questa sia l'unica buona notizia da segnalare dopo il 2 gennaio, giorno in cui sono tornato a casa, in famiglia, e in cui l'amabile virus influenzale mi ha colpito a tradimento. Non mi ammalavo ormai da molti anni, ero convinto di aver sviluppato un sistema immunitario praticamente invalicabile, eppure questa volta sono caduto vittima dell'influenza che ha colpito moltissime persone quest'anno. Ma poco importa se in questi giorni ho quasi delirato, se ogni notte ho avuto gli incubi e ho dovuto fare i conti con sudate degne dei mesi più caldi dell'anno: ora che il morbo è stato quasi debellato (oggi si registra una temperatura corporea massima di 37°C), bisogna fare i conti con la valigia da rimettere in ordine, e con le salsicce di campagna e il prosciutto, e l'olio e il liquore alle ciliegie che mia nonna produce in quantità limitatissime ogni anno. Da buon meridionale, farò fagotto di ogni cosa e riporterò nella città che fu degli Sforza gli antichi sapori delle terre borboniche!
Il punto è che, tutte le volte che mi accingo a lasciare questo luogo da cui sto or ora scrivendo, mi coglie una strana sensazione, a metà tra la malinconia di un abbandono e il disgusto per questa terra che mi ha dato i natali. La mia città si lega troppo spesso a brutti ricordi di adolescenza: è stata dura per me fare i conti con il provincialismo e il pettegolezzo, con la mia volontà di restare nell'ombra opposta al mio desiderio di schiettezza e sincerità.
Da quando vivo a Milano, tutto questo dualismo non esiste più, mi sento rassicurato dalla possibilità che ho avuto di rifarmi una vita, una vita come la volevo io; di non soffrire per colpa del giudizio degli altri, di poter vivere alla luce del giorno, senza dovermi nascondere da nessuno. Poco importa se anche lì ho avuto le mie delusioni e le mie sofferenze, nulla è paragonabile a ciò che ho passato qui. Non voglio nemmeno nominarla, questa città: un po' per privacy, un po' per scaramanzia forse, un po' per allontanarla da me il più possibile. Cerco di ricacciarla indietro come farei con qualche brutto avvenimento che mi ha segnato nei miei trascorsi.
Domani inizia un nuovo periodo lontano da qui, durerà fino a Pasqua, sempre che io non ne abbia piene le palle al punto da non volerci tornare nemmeno per quella festività: potrei decidere di andarmene da qualche parte, ad Atene o in Portogallo, o in Belgio, o chissà dove altro. Il mondo è così pieno di nuovi luoghi da visitare che mi sembrerebbe quasi inutile riversarmi ogni volta nello stesso posto, solo perché c'è la mia famiglia. Già, la mia famiglia... quella del pranzo di Natale, quella che è sempre stata e che ho finalmente capito di che pasta sia fatta veramente.
Ne ho abbastanza, domani si riparte. Ed è questo ciò che conta per me.

martedì 2 gennaio 2007

Giro Di Boa Nel Mio Mare In Tempesta

L'apertura di un anno nuovo segna sempre una svolta decisiva. Simbolicamente è il momento in cui bisogna girare pagina, lasciarsi alle spalle le delusioni che hanno costellato i mesi precedenti. E' il momento dei bilanci e della bilancia, invita a fare i conti con se stessi, cercando di capire se quanto si è fatto corrisponda effettivamente alle nostre aspettative.
Data una simile premessa, non potevo certo esimermi dall'autoanalizzare il mio 2006. Ogni mese ha portato con sé una carrellata di eventi molto variegati, alcuni dal sapore molto gradevole, altri invece piuttosto duri da digerire. Approdato ormai nel 2007, mi viene da ripensare ad ogni mese, preso singolarmente, dell'anno che s'è chiuso, e devo ammettere che mi sembra molto più semplice ricavarne una riflessione abbastanza oggettiva.
Nel complesso ci sono stati degli alti e bassi mostruosi, attimi di totale inattività alternati a momenti di energia incontenibile, in cui avrei potuto mangiare il mondo a morsi. Nel tempo ho cercato di conoscermi sempre più a fondo, e ne è venuto fuori che anche io ho il mio periodo di letargo invernale, come un animale o una pianta, apparentemente morta d'inverno, rigogliosa e multicolore d'estate.
Faccio scorta di sole in Agosto e di fragole in Giugno, immagazzino le giornate dal cielo limpido in Maggio, il mio mese preferito, e trattengo nelle narici gli odori delle rose che prendono a stiracchiarsi coi primi caldi. Mi rotolo nei prati e mi spalmo sulla spiaggia come un bambino quando viene Luglio, e se piove sono felice lo stesso, il profumo dei temporali mi inebria e mi galvanizza.
Poi arriva Settembre, perdo le foglie ed i capelli, l'abbronzatura si lava via alla prima doccia, le giornate si restringono, ricomincia la routine di studente e malinconicamente capisco che sta arrivando l'autunno, e poi ci sarà l'inverno, e faccio finta di dormire ancora per un po'.
Il mio anno si consuma così, tra noia ed indolenza, felicità a momenti o prolungata: cambiano le persone, cambiano le occasioni, ma la sostanza è la stessa. Come le onde del mare: sempre diverse, a volte piatte, a volte agitate, eppure non si tratta che della stessa acqua salata, e talora inquinata da qualcosa di ignoto.
Ma stavolta avverto delle strane sensazioni che mi sconvolgono in positivo.
Non sono le solite mareggiate, c'è un non so che di più impetuoso.
Credo di sapere di cosa si tratta...
Ho salutato l'ultimo giorno del 2006 con un inatteso sorriso sulle labbra, ero felice prima della mezzanotte e lo sono stato dopo, e lo sono ancora. Se penso che tutto è dovuto all'unico regalo che non ho dovuto scartare, mi viene da non crederci: sembrava impossibile ed è diventato realtà. Forse lo sai già anche se non te l'ho detto mai: la sorpresa più bella me l'hai fatta proprio tu, facendomi innamorare di te.
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