lunedì 24 settembre 2007

Io Ero Là

Ho appena staccato gli occhi, a forza, dal mio primo romanzo di Dostoevskij, accompagnato dalle note di Thelonious Monk. Potevo scegliere tra "Il Giocatore" e "L'Idiota". Ho puntato tutto sul secondo, les jeux sont faits, rien ne va plus. Ho sbancato. Ho iniziato a vivere a Pietroburgo da poco, solo trentatrè pagine, ma mi sento già integrato in società. Ho incrociato il mio sguardo con l'altera ed affascinante Nastas'ja Filippovna e sbirciato negli angoli della casa del generale. Mi sono rifugiato in una piccola stanza, dietro una porta poco evidente, per fumare.
Mi sono affacciato dalla finestra, per guardare la Solovaja. Guardando lontano, verso Rostov.
Sabina.
La sua treccia nera di ebrea, adagiata sulla spalla.
Le sue parole tradivano amarezza, mentre plasmava la creta, sul bordo del tavolo, pretendendo di ottenerne dei gattini. L'aveva sognato, mi raccontò, di partorire dei gattini. Aveva sognato di crescerli e di essere per loro una buona madre; tale avrebbe voluto essere per Sigfrido. Ma Sigfrido il biondo non è mai nato. L'angolo destro della sua bocca assunse un'espressione di disappunto.
Diedi una boccata profonda, ed espirai il fumo dalle narici.
Rimbombava in lontananza il suono dell'olifante.
L'esercito rientra da Roncisvalle.
Carlo marcia verso la sua dolce Francia, ma piange in silenzio. Si tira con forza la barba incanutita e stringe le labbra in una smorfia di represso dolore. Lo guardo con discrezione, con la coda dell'occhio. Non riesco a tacere:
"Cos'avete, mio re?"
Ma il re non mi risponde. Negli occhi, dietro le lacrime a forza trattenute, vedo il volto splendente del prode Orlando. Com'è bello nel suo contegno, impossibile non ammirarlo nella sua fiera bellezza, tutta fulgida nello sguardo sicuro.
Il re continua a cavalcare; gli zoccoli del suo veloce destriero calpestano le polveri pirenaiche, spazzate dal mistral.
Eppure, penso, il mistral è vento di Provenza.
Marsiglia brilla, specchiandosi nel Vieux-Port. Ho voglia di passeggiare nel Panier, chissà che non lo incontri. Magari al bar del brontolone Fonfon, oppure al ristorante di Ange. Decido di tagliare per rue Saint-Saens, in direzione della Canebière. C'è un uomo solo. Ampie volute di fumo ne avvolgono la figura, il tramonto s'è già avviato. Mi avvicino a lui.
"Fabio."
E' un sorriso amaro, il suo. Una lacrima gli solca la guancia. Non mi stupisco, ché credo di non averlo mai visto sorridere. La serenità, quella no, non gli appartiene. Agli altri uomini, forse. Ma a Montale, no, a lui no. Si rivolge al mare e credo di capire quello che prova. Magari riuscirò ad essergli più vicino, se deciderà di parlarmi davanti ad un pastis...
...ma ormai non è più tempo. Vorrei parlarvi ancora di Fabio, Sabina, Carlo ed Orlando, Nastas'ja e chissà, magari anche di Margherita e del suo inconsolabile Maestro, di Eva Luna, Tieta d'Agreste e Teresa Batista, e ancora dello stregone Jubiabà e Januario Gereba. Perché, che ci crediate o no, io ero là. A soffrire con loro. A ridere con loro. A mangiare, a bere, a fare l'amore con loro ed i loro amanti. In ciascuno di loro ho lasciato una traccia di me.
E a me hanno inciso i loro nomi indelebilmente sull'anima, come incisione nella dura pietra.

martedì 11 settembre 2007

Le Cose Che Abbiamo In Comune

Sei così dolce. Sembravano scene da film. Io che mi stropiccio gli occhi e sento il profumo del caffé insinuarsi dolcemente nel mio sonno. Hai detto di avermi baciato mentre dormivo, ma non mi sono accorto di niente. Hai rubato un po' del mio sapore. Che ladruncolo che sei.

La colazione insieme. Il nostro rito abituale eppure sempre così piacevole: yogurt, muesli, frutta, pane caldo ai cereali e le marmellate straordinariamente vellutate che tua madre ci fa trovare(inconsapevolmente?) nel frigorifero. Melecotogne e castagne. Una prelibatezza. Ci guardiamo mangiando, ti sorrido con la bocca piena, e tu mi fai gli occhi a mezzaluna. Sembriamo due bambini che dividono la loro merenda.

Siamo usciti in veranda a fumare la prima sigaretta della giornata. L'odore del tabacco che brucia accompagna i nostri discorsi del tardo mattino. Un altro bacio, felicemente contaminato dal fumo e dalla marmellata. Mi piace sedermi sulle tue gambe e metterti le braccia al collo, mentre stai lì, accoccolato sulla sdraio di plastica bianca, e i primi raggi del sole schiariscono i tuoi capelli di camomilla.

Abbiamo fatto la spesa insieme. Ci piace andare assieme al supermercato. Girovagare tra gli scomparti e scegliere come creare dal niente la nostra cena. E soffermarci su cosa sgranocchieremo in attesa che le tagliatelle siano pronte: pane tostato con bresaola e Rosa Camuna, una pizza a metà, un paio di bicchieri di vino rosso, un Nebbiolo d'Alba di qualche anno fa che ho pagato uno sproposito, ma ne è valsa la pena, eccome! E poi le nostre tagliatelle con i gamberi, le zucchine e il pomodoro fresco che hai preparato tu. Però le zucchine le ho tagliate io.

Mi piace guardarti cucinare e osservare con che attenzione scegli la padella più adatta e le spezie con cui insaporisci le pietanze. Mi piace scendere insieme a te nella cantina di casa tua, che custodisce un vero e proprio arsenale gastronomico!

E poi ancora a chiacchierare, a scambiarci l'amore sul divano. Non ti piace guardare il tennis in televisione, a me sì, e così ti sei addormentato come un cucciolo tra le mie braccia, mentre io palpitavo per un punto guadagnato con un rovescio da manuale. Avevi su ancora gli occhiali, sistemati di sbieco, e la bocca un po' aperta. Un cartone animato in carne ed ossa.

Abbiamo fatto l'amore ogni giorno e inveito contro questa bieca mania di progettare il letto ad incasso: troppa passione o mensole sistemate troppo in basso? E ci è piaciuto indugiare sotto le coperte calde. A parlare un po' di noi, a giocare al geloso e al traditore, a dirti che sento di essere maturo abbastanza per amarti. Sentire le tue mani che mi cercano di nuovo e la tua voce che sussurra: "Sono felice". Lo sono anche io, ma non ho bisogno di dirtelo, i miei occhi parlano da soli...

In tre giorni trascorsi insieme non abbiamo fatto praticamente nulla.

Eppure a me sembra che, giorno dopo giorno, stiamo costruendo qualcosa di grande.

Insieme a te sto sconfiggendo la noia e la ritrosia.

Mercoledì hai l'esame e passerai tutta la giornata di domani a studiare.

Forse ti farò una sorpresa. Chissà.

Tanto chi può farci del male? Chi ci corre dietro?

Il mondo è solo nostro, amore mio.
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