venerdì 13 aprile 2007

La Casa, dov'è?

E' trascorsa una settimana da quando, carico di valigie e scartoffie da studiare, sono salito su quel treno che mi riportava nella mia città natale, per la Pasqua. Cinque ore di viaggio, passate rapidamente e con riflessioni abbarbicate l'una sull'altra come fili di edera. Sentivo qualcosa di diverso nell'imboccare quel tragitto verso il Sud, una strana trepidazione che mi faceva scalpitare il cuore. Ma, al tempo stesso, provavo uno strano timore. Ogni volta che mi accingo a tornare ai miei lidi, ho paura di restarne sempre più deluso. Di non riuscire a resistere alla tentazione di riprendere il primo treno per Milano e scappare via per sempre, per non rimettere mai più piede su quelle strade che mi hanno visto correre e correre, muto, sofferente.
Eppure, alla discesa dal nuovissimo EurostarAV, l'aria sembrava accogliermi benevola. Una brezza dolce e non troppo fredda mi aveva scompigliato questa stravagante frangetta che ormai mi fa compagnia da un paio di settimane. Lo sguardo felice di mio padre che mi accoglieva in fondo alle scale, sebbene a prima vista non mi avesse riconosciuto. Colpa della frangetta, ho pensato io sorridendo. E poi i giorni si sono susseguiti lenti. Indolenti. Strazianti. Nonostante il fatidico pranzo pasquale con tutta la famiglia, che mi spaventa più di ogni altra cosa ogni volta, che mi fa temere di poter esplodere da un momento all'altro, di passare dalla placidità più assoluta alla più furibonda delle reazioni, non fosse stato così tremendo. Ho rivisto gli amici più stretti, confessando loro, giorno dopo giorno, la mia angustia e la mia brama di fuggire da lì. Loro sembravano comprensivi. Ma forse non potevano capire del tutto. Convinti che fosse l'amore che ho qui, che fossero le mille opportunità di Milano ad attirarmi come fa una calamita con la limatura di ferro. Ho cercato di convincermi che avessero ragione, annuendo pensieroso e meditabondo, dicendo loro sì, è vero.
Allora sono andato al mare. Era la prova del nove. Era un pomeriggio piuttosto freddo, il solito clima altalenante ed umido aveva scalzato il caldo improvviso dei primi giorni. Mi sono sfilato le la camicia a quadri blu, le scarpe ed i calzini, ed ho arrotolato i jeans fino alle ginocchia. Volevo sentire l'alito delle onde venirmi addosso come una tempesta, volevo sentire l'aria salmastra e l'odore del sale sulla mia pelle, volevo sentire l'acqua cozzarmi sui piedi. Sono rimasto alcuni minuti con i piedi immersi nel mare ancora gelido, ancora acerbo per un bagno in costume, aspettando qualcosa, una sensazione di piacere, un brivido dentro le ossa. Niente. In quel momento ho capito che avevo tagliato definitivamente il cordone ombelicale con quel mare, con quella spiaggia, con quelle colline in lontananza. E mi sono sentito spaesato, perso, privato delle mie radici più profonde, un albero strappato alla sua terra da un uragano furente ed impietoso.
Ho vissuto gli ultimi giorni con un groppone in mezzo al petto. Finché non è arrivato il momento di ritornare verso il Nord, a cinquecento chilometri di distanza. Mi sembrava di essere all'inferno: il calore delle due del pomeriggio divampava nell'aria asfissiante, un vento bollente mi ha seccato le labbra. Con gli occhi strabuzzati e il cuore al cardiopalmo sono salito in treno, le porte si sono chiuse, ho avuto mille sussulti. Stavo ripartendo. E il mio battito cardiaco ha cominciato a rallentare, a placarsi, le mie tempie avevano smesso di pulsare ossessivamente. Il respiro era tornato regolare, sedato a poco a poco, tanto più aumentava la lontananza da quella geografia che ho compreso non appartenermi più. Come se nella mia esistenza quel pezzo di litorale fosse stato stracciato come la pagina di un libro ingiallito dal tempo, e via, sempre più veloce verso il mio rifugio remoto e segregato dal resto. Seduto nella mia poltrona, col sudore divenuto freddo sulla mia schiena, incollato ai miei vestiti, mi sono sentito un clochard che, per l'ennesima volta, intraprendeva un viaggio alla ricerca di se stesso. Lo sguardo del vagabondo che era in me si perdeva nei paesaggi frettolosi che scorrevano fuori dai finestrini, interrogativo, ammutolito. E si chiedeva dove fosse, adesso, la sua casa.

15 Commenti:

Blogger artemisia ha detto...

Il cordone ombelicale è rotto, ma le radici non le hai perse per sempre. Tra molti anni le ritroverai, anche se tutto sarà diverso.

Buon viaggio.

13 aprile 2007 alle ore 17:33:00 GMT+2  
Anonymous Anonimo ha detto...

la casa e' dov'e' il tuo sorriso! sempre e comunque...i cordoni son fatti per essere spezzati, le radici, come dice arte, rimangono dove sono.
il tuo sorriso ora e' a milano, domani forse sara' a londra, o a new york, non importa dove. ma dovunque sara', li, ci sara' la tua casa.
buon viaggio e un abbraccio.

13 aprile 2007 alle ore 22:47:00 GMT+2  
Blogger I fiori nella vasca ha detto...

L'importante è che tu sia non dove tu sia...
Un bacioo grande

14 aprile 2007 alle ore 18:03:00 GMT+2  
Anonymous Anonimo ha detto...

@artemisia: credo proprio di dover ascoltare le tue parole e farle mie a fondo. Solo che ho sempre desiderato perderle senza capire cosa realmente ciò significasse... Un abbraccio

15 aprile 2007 alle ore 18:03:00 GMT+2  
Anonymous Anonimo ha detto...

@henry: allora significa che una casa vera e propria, tutta mia, ancora non ce l'ho. In questi giorni ho un sorriso a metà... magari sono in affitto...
un abbraccio

@rain-gioia: essere e non sapere dove? Credo che sia una delle mie più grandi ambizioni :) un bacio grande

15 aprile 2007 alle ore 18:05:00 GMT+2  
Anonymous Anonimo ha detto...

adynaton: io e' una vita che sono in affitto e con un sorriso a meta'!
coraggio!

15 aprile 2007 alle ore 19:09:00 GMT+2  
Anonymous Anonimo ha detto...

@henry: e allora cercheremo di farci coraggio a vicenda, e di mostrare i denti una volta tanto :)

15 aprile 2007 alle ore 19:55:00 GMT+2  
Anonymous Anonimo ha detto...

@henry: e allora cercheremo di farci coraggio a vicenda, e di mostrare i denti una volta tanto :)

15 aprile 2007 alle ore 19:55:00 GMT+2  
Anonymous Anonimo ha detto...

ci sto! :)

16 aprile 2007 alle ore 17:20:00 GMT+2  
Blogger Padda ha detto...

Forse la casa non è una sola, forse sono tante. E ognuna conserva ricordi ed esperienze, gioie e tristezze. La vita ci trasporta in migliaia di luoghi, forse ognuno di questi è un pezzetto della nostra casa. E magari, aldilà dei chilometri che separano le città in cui hai vissuto, non c'è davvero una reale distanza tra esse: in tutte quante c'è un pezzetto di te e delle persone che hai amato.

16 aprile 2007 alle ore 22:13:00 GMT+2  
Blogger Adynaton86 ha detto...

@padda: è vero, si lasciano tracce del proprio passaggio un po' dovunque ed è meraviglioso poter ricordare tutto questo. Ma lo sconforto sopraggiunge perché tutto questo passaggio, concretamente, sembra non esserci più... ancora oggi sono vivi in me tutti i luoghi che ho calpestato. Ma la casa è sempre la casa, è quando non c'è, ti senti senza un rifugio...

17 aprile 2007 alle ore 01:16:00 GMT+2  
Blogger Laura ha detto...

l'importante è che ovunque tu sia non ti senta mai a disagio o fuori luogo. Come dice Rain, essere ovunque tu sia.... e da quello che scrivi sei già qualcosa di meraviglioso!
un bacio

17 aprile 2007 alle ore 11:55:00 GMT+2  
Blogger Adynaton86 ha detto...

@laura: ti ringrazio tanto, e quando dici "a disagio o fuori luogo" esprimi con parole migliori delle mie la sensazione di malessere che provo in certe occasioni. La cosa più difficile da accettare è che il luogo da cui sono "fuori" è proprio quello in cui sono nato. Ma col tempo, come dice Artemisia, forse quelle radici le ritroverò.
Un bacione a te

17 aprile 2007 alle ore 13:00:00 GMT+2  
Blogger lucia ha detto...

Caro Ady
non sei sradicato, hai solo scelto di vivere altrove.
Le origini non si dimenticano. Le portiamo dentro. Danno il colore alla nostra pelle e ai nostri occhi. Determinano il nostro gusto nella scelta dei cibi, delle musiche, degli amori.
Noi siamo la terra che ci ha generati, siamo quei paesi che abbiamo lasciato, siamo la gente che incontravamo per le strade.
Noi siamo ancora quei bambini che sognavano di fuggire. E lo saremo sempre.
Ti abbraccio davvero forte.
Non sai quanto condivido questo tuo sentimento.
a presto

20 aprile 2007 alle ore 11:23:00 GMT+2  
Blogger Adynaton86 ha detto...

@lucia: se io sono la terra che mi ha generato e sono la gente che incontravo per le strade, non mi piaccio per niente! >_< io spero solo di riuscire a tramutare questo astio in nostalgia per le mie origini, un giorno. Nonostante adesso stia provando qualcosa di strano, la non-appartenenza, il non-riconoscimento. Forse sono come un serpente che fa la muta e sto lasciando la mia pelle da qualche parte... un abbraccio forte anche a te

20 aprile 2007 alle ore 11:47:00 GMT+2  

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