Io Ero Là

Mi sono affacciato dalla finestra, per guardare la Solovaja. Guardando lontano, verso Rostov.
Sabina.
La sua treccia nera di ebrea, adagiata sulla spalla.
Le sue parole tradivano amarezza, mentre plasmava la creta, sul bordo del tavolo, pretendendo di ottenerne dei gattini. L'aveva sognato, mi raccontò, di partorire dei gattini. Aveva sognato di crescerli e di essere per loro una buona madre; tale avrebbe voluto essere per Sigfrido. Ma Sigfrido il biondo non è mai nato. L'angolo destro della sua bocca assunse un'espressione di disappunto.
Diedi una boccata profonda, ed espirai il fumo dalle narici.
Rimbombava in lontananza il suono dell'olifante.
L'esercito rientra da Roncisvalle.
Carlo marcia verso la sua dolce Francia, ma piange in silenzio. Si tira con forza la barba incanutita e stringe le labbra in una smorfia di represso dolore. Lo guardo con discrezione, con la coda dell'occhio. Non riesco a tacere:
"Cos'avete, mio re?"
Ma il re non mi risponde. Negli occhi, dietro le lacrime a forza trattenute, vedo il volto splendente del prode Orlando. Com'è bello nel suo contegno, impossibile non ammirarlo nella sua fiera bellezza, tutta fulgida nello sguardo sicuro.
Il re continua a cavalcare; gli zoccoli del suo veloce destriero calpestano le polveri pirenaiche, spazzate dal mistral.
Eppure, penso, il mistral è vento di Provenza.
Marsiglia brilla, specchiandosi nel Vieux-Port. Ho voglia di passeggiare nel Panier, chissà che non lo incontri. Magari al bar del brontolone Fonfon, oppure al ristorante di Ange. Decido di tagliare per rue Saint-Saens, in direzione della Canebière. C'è un uomo solo. Ampie volute di fumo ne avvolgono la figura, il tramonto s'è già avviato. Mi avvicino a lui.
"Fabio."
E' un sorriso amaro, il suo. Una lacrima gli solca la guancia. Non mi stupisco, ché credo di non averlo mai visto sorridere. La serenità, quella no, non gli appartiene. Agli altri uomini, forse. Ma a Montale, no, a lui no. Si rivolge al mare e credo di capire quello che prova. Magari riuscirò ad essergli più vicino, se deciderà di parlarmi davanti ad un pastis...
...ma ormai non è più tempo. Vorrei parlarvi ancora di Fabio, Sabina, Carlo ed Orlando, Nastas'ja e chissà, magari anche di Margherita e del suo inconsolabile Maestro, di Eva Luna, Tieta d'Agreste e Teresa Batista, e ancora dello stregone Jubiabà e Januario Gereba. Perché, che ci crediate o no, io ero là. A soffrire con loro. A ridere con loro. A mangiare, a bere, a fare l'amore con loro ed i loro amanti. In ciascuno di loro ho lasciato una traccia di me.
E a me hanno inciso i loro nomi indelebilmente sull'anima, come incisione nella dura pietra.