venerdì 8 gennaio 2010

Garbuglio

Gorgoglia di grigia pioggia, sul greto d'un caruggio s'aggrappa un rigagnolo di gelide giunture, fatte di giovinezza e disamore, di antiche musiche che riecheggiano attimi di placida serenità; duole il ginocchio, duole il dito, il petto col respiro. Il sonno s'è involato, giunto alle soglie d'un mattino nuovo che sembra non cambiare - che mattino era, se piangeva ancora il cielo ed era buio? Guarire è un mestiere, ammalarsi un diritto di ogni creatura che soggiace alla legge del pensiero. Ché pensare troppo strappa gli sguardi dal vero, e distoglie dal discorso principale, dalle cui proposizioni collegate scaturisce l'unica, vera opportunità di slegarsene per sempre. Esige, la vita, che si rifletta, e ancora rifletto in uno specchio spaurito che non restituisce che incertezze. Non vorrei, ma ho un brivido rapido e intenso d'insana lucidità - abbandono. Scrivere, scacciare, terminare, finire, chiudere ciò che non è chiuso ma che voglio che sia. Non posso eludere i colori familiari e le luci rossastre dischiuse nella tetra assenza. Perché alle cinque e poco più che un quarto, tra le pieghe di una notte che smette e un giorno che nasce, ogni cosa, ogni attimo assume le fragili sfumature di una foglia cadente? Flebili raggi sospirano, artificiali, da minuscole fessure - ed essi né calore, né odore propagheranno - e vorrei che fossero vere stelle.

venerdì 1 gennaio 2010

Mi piacerebbe poter dire che il 2009 è stato un anno da sogno, magnifico, di quelli che non si dimenticano. Per la verità di certo non me ne dimenticherò, ma sicuramente per ragioni tutt'altro che piacevoli e positive. Bisogna saper ammettere che, prima o poi, arriva quel momento in cui la Sfiga attraversa la propria vita. Certo, va detto che, per alcuni versi, l'anno che ci ha appena chiuso la porta alle spalle mi ha regalato anche dei momenti indimenticabili. Esperienze nuove, l'emozione di essere dottore, la soddisfazione di vedere il mio nome su una locandina e di sapere che ero proprio io, quello. Perché è vero che non si finisce mai di arrivare, ma acciuffare le tappe intermedie è lo stimolo principe della ricerca. Sempre.
Sentimentalmente parlando, è stato davvero un annus horribilis. Inutile negare l'evidenza: ho visto sfiorire, piano piano, con quella lentezza che odora di sconfitta, la più bella storia d'amore della mia vita. Ho preso una sonora legnata sul capo al principio di agosto da parte di una persona a cui - lo ammetto - mi sono aggrappato con troppa forza, forse per paura di cadere nuovamente, di perdere un'altra partita. E così ho finito per perderla, anche se non è tutta mia la responsabilità. Ho visto partire per l'amata Spagna una delle donne che costituiscono i pilastri della mia esistenza, non solo milanese, ma assoluta. Mi sono scontrato con i momenti di solitudine che non riuscivo a sopportare, ho constatato quanto fosse duro accettare il vuoto di uno dei due materassi che costituiscono il mio letto.
Se dovessi identificare il 2009 con una frase, citerei senz'altro una frase di un film:

Fammi sapere quando la tua vita va completamente all'aria, vuol dire che è l'ora della promozione.

Ma nonostante questo, non mi lamenterò. Oh, no. Nonostante al primo sorriso spesso sia arrivata la riga da disegno sui denti, non lo farò. Anche se tante volte, mentre correvo, sono inciampato nell'unica radice sporgente, non mi metterò a frignare. Sebbene il mio frigorifero sia più vuoto del mio stomaco - e posso garantire che è possibile, c'è solo un tubetto di maionese dentro - io cercherò di essere forte e di accettare l'ipotesi di una pasta al burro, semmai i miei fidati pizzaioli egiziani fossero indisponibili. E al diavolo se non farò sesso per due mesi, e chi se ne importa se al primo appello d'esame non sarò preparato, mi presenterò al prossimo, e che vadano a quel paese le mutande rosse che non ho indossato, le lenticchie che non ho mangiato, il vischio sotto il quale non ho ricevuto alcun bacio.
Il 2010 è iniziato da venti ore e quattro minuti,
e reca in mano un mazzolin di rose e di viole
onde, siccome suole, ornar egli s'appresta,
dimani, al dì di festa, il petto e il crine.
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