Garbuglio
Gorgoglia di grigia pioggia, sul greto d'un caruggio s'aggrappa un rigagnolo di gelide giunture, fatte di giovinezza e disamore, di antiche musiche che riecheggiano attimi di placida serenità; duole il ginocchio, duole il dito, il petto col respiro. Il sonno s'è involato, giunto alle soglie d'un mattino nuovo che sembra non cambiare - che mattino era, se piangeva ancora il cielo ed era buio? Guarire è un mestiere, ammalarsi un diritto di ogni creatura che soggiace alla legge del pensiero. Ché pensare troppo strappa gli sguardi dal vero, e distoglie dal discorso principale, dalle cui proposizioni collegate scaturisce l'unica, vera opportunità di slegarsene per sempre. Esige, la vita, che si rifletta, e ancora rifletto in uno specchio spaurito che non restituisce che incertezze. Non vorrei, ma ho un brivido rapido e intenso d'insana lucidità - abbandono. Scrivere, scacciare, terminare, finire, chiudere ciò che non è chiuso ma che voglio che sia. Non posso eludere i colori familiari e le luci rossastre dischiuse nella tetra assenza. Perché alle cinque e poco più che un quarto, tra le pieghe di una notte che smette e un giorno che nasce, ogni cosa, ogni attimo assume le fragili sfumature di una foglia cadente? Flebili raggi sospirano, artificiali, da minuscole fessure - ed essi né calore, né odore propagheranno - e vorrei che fossero vere stelle.